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W Palermo e S. Rosalia


Il 7 maggio del 1624 arriva a Palermo, proveniente da Tunisi, il vascello della redenzione dei cattivi (riscatto dei cristiani prigionieri degli infedeli). Il Vicerè Emanuele Filiberto, contro il parere del Senato che sospettava che a bordo covasse la peste, ne permette l’attracco, “carico come era di mercanzie e ricchi doni a lui inviati dal Re di Tunisi”, la peste si diffonde in città.



Il 24 giugno la città venne dichiarata «infetta» e le porte cittadine vengono controllate dalle autorità, vennero chiuse delle zone della città e sorvegliate in entrata e uscita, complice la conformazione della città chiusa da cinte murarie e da vere e proprie porte di passaggio.
I non palermitani che volevano uscire dalla città dovevano esibire una benda bianca al petto e passare obbligatoriamente un periodo di quarantena prima di entrare altrove.



Girolama La Gattuta, donna del paese di Ciminna, colpita dal morbo, in un letto dell’Ospedale Grande di Palermo, sogna S. Rosalia che le promette la guarigione se si fosse recata in pellegrinaggio sul Monte Pellegrino.
Girolama, recatasi sul monte, beve dell’acqua che gocciolava dalla roccia, viene invasa da un senso di benessere, si sente subito guarita e si addormenta accanto all’ingresso della grotta.
Le appare in sogno una donna, col vestito azzurro, il mantello all’indietro, un bambino in braccio e una collana di coralli al collo, le dice: “Figlia, sei venuta ad adempiere il voto: sei sanata”, Lei capisce che era la Vergine Maria.
Poi, sempre in sogno, vede in fondo alla grotta, una giovane che in ginocchio pregava vestita di arbraxo (stoffa di sacco vecchio), la visione le indica un punto preciso dove scavare in fondo alla grotta, lì si sarebbe trovato “un tesoro”, “una Santa”.
Al risveglio Girolama va verso il fondo, vede una grande pietra e capisce che quello è il “posto” ove scavare.



I primi di giugno del 1624, sotto l’insistenza della donna, iniziano gli scavi e il 15 luglio, sotto una grande lastra di marmo, vengono ritrovate ossa umane bianchissime, inserite in concrezioni calcaree.
Al momento della scoperta la grotta è inondata da un forte profumo di fiori, si sparge la voce e sul monte sale una moltitudine di persone, pregano, bevono l’acqua e avvengono molte guarigioni.
Le ossa vengono pulite e portate in città nella cappella dell’Arcivescovo Giannettino Doria che vorrebbe certezza sull’autenticità dei resti.
Il 27 luglio del 1624 il pubblico Consiglio stabilisce di onorare S. Rosalia come patrona di Palermo, di dedicarle una cappella in Cattedrale, di onorare le sue reliquie con una solenne e “pomposa” processione e di costruire un’arca d’argento dove riporle.
Il 4 febbraio del 1625 il saponaro Vincenzo Bonello, dopo aver perso la giovane moglie per la peste, sale, con intenzioni suicide, sul Monte Pellegrino con il suo cane ed il fucile. Gli appare in visione S. Rosalia che lo conduce verso la grotta e gli raccomanda di riferire all’Arcivescovo Doria di portare in processione per la città le sue reliquie, qui ritrovate, perché la peste subito cessi. Il Cacciatore, colpito dal contagio, così come gli aveva predetto la Santa, racconta, in punto di morte, la sua visione al suo confessore, Don Pietro Lo Monaco, Cappellano di S. Ippolito al Capo, che ne riferisce all’Arcivescovo.
L'11 febbraio del 1625 il Cardinale Doria, colpito dal racconto del saponaro, riconvoca la commissione dei teologi e dei medici. Questa, il 18 febbraio, certifica che tra i reperti vi è un corpo “ingastato in densa pietra” certamente di giovane donna, viene pertanto dichiarata la autenticità delle ossa ritrovate come reliquie di S. Rosalia.
Il 9 giugno del 1625 si svolge a Palermo la prima processione, tra un tripudio di folla ed anziché favorirsi il diffondersi del contagio, questo si blocca.



Il 3 settembre del 1625 il Cardinale Doria, luogotenente generale del regno, dispone che, essendo stata ottenuta per grazia di S. Rosalia la liberazione dalla peste, sia ripristinata la libera circolazione di uomini e merci.
Nell'anno 1630 Santa Rosalia viene iscritta nel Martirologio che raccoglie i nomi di Martiri e Santi per ogni giorno dell'anno, con queste parole: (15 luglio) "A Palermo invenzione del corpo di S. Rosalia Vergine palermitana che sotto il Pontificato di Urbano VIII, ritrovato miracolosamente, liberò la Sicilia dalla peste nell'anno del giubileo.”
Nel lockdown palermitano rimase “incastrato” anche un ospite illustre come Antoon Van Dyck, il pittore fiammingo che, segnato dall’esperienza palermitana, inaugurò l’iconografia di Santa Rosalia, l’ultima delle sante protettrici del Capoluogo siciliano, divenuta tale proprio per i miracoli attribuiti tradizionalmente a lei nella sconfitta della peste.



Van Dyck era arrivato a Palermo come affermato “artista di corte” nel 1624 su invito del viceré. Il pittore fiammingo, certamente addolorato per la situazione in città, fu confortato, come tanti palermitani allora, dalla speranza nell’aiuto divino. Il ritrovamento di resti di ossa, attribuite dal cardinale Giannettino Doria a Santa Rosalia, fu per molti la luce in fondo al tunnel.
Le reliquie della donna vissuta diversi secoli prima furono portate in processione nel 1625, quando i casi di contagio si erano nettamente abbassati, e fu così che la “Santuzza” salvò la città. Van Dyck decise di dipingerla gloriosa, sorretta da angeli, vicina alle sue ossa, più e più volte. Avendo visto con i propri occhi la sofferenza di una città e la morte attraversarla, invisibilmente, fra classi agiate e povere, divenne infine devoto alla Santa.



Una “storia nella storia” questa di Van Dyck. La drammatica permanenza dell’artista divenne così l’origine dell’immagine, di fatto immutata nei secoli, di una donna giovane e bella, dai lunghi capelli e con lo sguardo rivolto al cielo. Rispetto a quelle rappresentazioni realizzare fra il 1624 e il 1625, è ancora lei la Santa Rosalia che viene tutt’oggi celebrata e osannata dai Palermitani per aver sconfitto la peste.


Published  Wednesday, 12 July 2023
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