A Palermo, negli anni ’50 e ’60 camminando per la città, era ancora possibile vedere artigiani che intrecciavano corde. Il lavoro del “curdaru” era molto caratteristico e apparentemente semplice: un ragazzino per poche lire o un pezzo di pane faceva girare con una grossa ruota con una manovella, questa, a sua volta, attraverso alcuni collegamenti faceva girare velocemente un’altra piccolissima ruota che aveva un uncino al centro, chiamato “animmula”.
U curdaru, incominciando dalla animmula, e camminando all’indietro, andava cedendo le fibre che teneva sotto il braccio o intorno la vita, per l’effetto rotatorio le fibre si intrecciavano, e diventavano corde, "rumaneddu" o spago. C’è un antico proverbio siciliano, che, ricordando quest’attività dice: “Iri nnarrieri comu u curdaru”, cioè “andare indietro, in senso metaforico, come il cordaio”. Il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche citò il cordaro nel suo libro dal titolo - Così parlò Zarathustra - che recita la frase: "In verità non voglio assomigliare ai funai: essi tirano in lungo le loro funi e intanto camminano a ritroso."