Palermo, città dai mille volti, segnata da secoli di storia e dominazioni che hanno lasciato traccia sia a livello culturale che architettonico.
Nel capoluogo siciliano le testimonianze del suo passato, segnato dall’avvento di fenici, greci, romani, arabi e normanni, rivivono tutt’ora grazie alla maestosità del suo patrimonio artistico, inserito in un contesto brulicante di vita, dialetti e tradizioni popolari.
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A Palermo il San Martino dei poveri veniva festeggiato con il rito del biscotto di San Martino, inzuppato nel liquore moscato: “Li viscotta di San Martinu”.
Dai racconti quotidiani di Andrea Camilleri, un estratto de "Il giorno dei morti".
L'emigrazione dei Siciliani in America, questo fenomeno compare spesso nella narrativa di Leonardo Sciascia, che ha raccontato molto frequentemente un fenomeno che ha interessato la Sicilia e in generale il meridione d'Italia per lungo tempo, dal primo 900 in poi.
La leggenda racconta che Riccardo Cuor di Leone, in segno di pace, donò al re di Sicilia Tancredi la leggendaria spada di re Artù Excalibur.
La storia del bummulu, o quartara, è una storia che attraversa l’intera tradizione siciliana, la tipica anfora a due manici, risale alla civiltà greca. L’etimologia del suo nome, infatti, è greca: Bombylios o bombyle. Fatto da un impasto di terracotta e sale, ha la capacità di mantenere la temperatura del liquido che vi si versa: acqua, vino o olio.
Sono passati 32 anni dalla strage di via d’Amelio a Palermo, quel maledetto 19 luglio del 1992, nella quale persero la vita il giudice Paolo Borsellino e cinque dei sei agenti della sua scorta: Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi, Claudio Traina, Vincenzo Fabio Li Muli.
La leggenda di Colapesce è una delle più antiche e affascinanti storie siciliane, narra la vita di un giovane pescatore di Messina, Nicola (detto Cola), che per amore della sua terra decide di sacrificare la propria vita per salvarla.
Per la Giornata della Memoria, la storia dell'eroina siciliana Giuseppina Panzica, che aiutava a passare il confine a ebrei e perseguitati, facendoli attraversare il suo orto, che coincideva con la frontiera.
Giuseppina Giovanna Panzica nacque a Caltanissetta, in Sicilia, il 1º agosto 1905, durante l'occupazione tedesca dell'Italia, nel 1943, la Panzica iniziò a collaborare con la Resistenza italiana.
In particolare, si occupò di aiutare gli ebrei a fuggire dall'Italia e a rifugiarsi in Svizzera.
Giuseppina viveva a Ponte Chiasso, un piccolo comune al confine tra Italia e Svizzera, in quel periodo, il confine era militarizzato e la guardia era molto stretta.
La Panzica, però, riuscì a trovare un modo per aiutare gli ebrei a passare il confine, si occupava di organizzare i viaggi degli ebrei, trovava loro un posto dove nascondersi durante la notte, li accompagnava al confine e li aiutava a passare la guardia.
La determinazione e l'altruismo di Giuseppina Panzica è un esempio di coraggio e di umanità che non deve essere dimenticato, la sua storia ci insegna che, anche in tempi difficili, è sempre possibile trovare il coraggio di aiutare gli altri.
Accanto alla superba chiesa barocca del Gesù, a pochi passi dal mercato di Ballarò di Palermo, si trova la Biblioteca di Casa Professa.
Fu inaugurata il 25 aprile 1775 come appendice dell’antica Biblioteca comunale. Qui, nell’ex dimora dei Gesuiti, espulsi per decreto regio nel 1767, trovarono nuovo spazio migliaia di volumi.
All’interno, oltre al prezioso corpus di codici membranacei e cartacei, per lo più manoscritti di eruditi palermitani, vergati tra il XVI e il XVIII secolo, di particolare interesse sono la scaffalatura lignea e il “Famedio dei siciliani illustri”, circa trecento ritratti di personaggi dell’arte e della letteratura siciliana, realizzati in gran parte da Giuseppe Patania alla fine dell’Ottocento.
“... una serie di scale di ferro esterne scendono fino ai piedi del palazzo, nel parco. Il primo cespuglio che scorgo è tutto stellato d’azzurro. Siccome sono in pieno paese di fiaba, lo chiamo con disinvoltura un gelsomino blu. E lo è forse, se ne esistono.
Riconosco delle palme, alte quanto quelle di Tunisi, fasci di bambù, liane fiorite. I vialetti girano in mezzo ad una piccola foresta di essenze rare. Un gruppo di alberi la domina. Sono enormi, con i tronchi nodosi e contorti, i rami piegati a spaccature, con le foglie carnose che formano larghe onde.”
Palermo, Villa D'Orleans
“ ... Mi disse: Al calar della notte, prenda una vettura e vada a fare una passeggiata al Foro Italico.
Lì vedrà una parte della società palermitana, ascolterà la musica e il mare.
Soltanto allora potrà giudicare se Palermo è stata giustamente chiamata la felice.... "
"... Venuta la sera, seguii il consiglio e mi feci condurre alla Marina.
La grande passeggiata di tutti era iniziata, andavano a piccoli gruppi, senza fretta, con la noncuranza della conversazione che indica una passeggiata abituale, a respirare la brezza di mare e a vedere passare le carrozze.
Figuratevi una banchina lunghissima e larghissima, leggermente arcuata per seguire la curva della riva, piantata di alberi, le carrozze vanno e vengono, e riprendono il passo quando si sentono le prime battute di un valzer o di una mazurka, ...”
"Prima Sedes, Corona Regis et Regni Caput" è un'espressione indicante i tre titoli divenuti prerogativa della città di Palermo con la fondazione del Regno di Sicilia, avvenuta il 25 dicembre 1130, tramite l'incoronazione di Ruggero II d'Altavilla nella cattedrale di Palermo.
I tre titoli fanno riferimento ai tre antichi privilegi della città, ossia quello di essere stata:
- la prima sede dei Re di Sicilia i cui domini comprendevano l'intero Mezzogiorno;
- fungere da luogo deputato alla loro incoronazione;
- il suo rango di capitale.
Una grande città come Palermo, che, come detto, si è da sempre fregiata del titolo di ''Prima Sedes, Corona Regis et Regni Caput'', ha da sempre sentito l'esigenza del trasporto pubblico di massa, affidato prima ad omnibus a trazione animale e a partire dal 1888 tramite il tram.
La prima linea tranviaria di Palermo rimase in funzione dal 1888 al 1947, era estesa 38 km e attraversava il centro storico.
Nel 1911, in pieno periodo liberty e nel momento di massimo splendore internazionale di Palermo, la società belga Les Tramways de Palerme costruì ed esercì il servizio tram fino a Mondello, che in quel periodo pullulava di turisti da ogni parte del mondo.
Negli anni '30 del novecento, come in tutta Italia, anche Palermo risentì della crisi del trasporto pubblico, furono soppresse 6 delle 12 linee e a seguito di scelte politiche si optò per la conversione della linea in filoviaria.
Come se non bastasse i bombardamenti della città nel 1942/43 distrussero completamente le infrastrutture tranviare ponendo fine nel 1947 al servizio tram.
Nei primi del 900' a Palermo esisteva la linea tranviaria che dal centro storico della città si poteva raggiungere attraverso la funicolare il vicino comune di Monreale.
Per molti secoli la via della seta in Sicilia, da Palermo a Messina, lungo la costa settentrionale dell’isola fino a un tratto della riviera ionica, merito del clima e di corsi d’acqua rigogliosi.
Un’arte antica quella della filatura, tessitura e ricamo, di cui molto è andato perduto ma qualcosa si tramanda ancora grazie alla passione e l’intraprendenza di un gruppo di donne e uomini.
In Sicilia si filava e si tesseva già alla corte normannam il ricco manto di Ruggero in seta-raso fu creato nel “Tiraz”, l’opificio del Palazzo Reale.
In oro, perle e smalti, il disegno porta la data del 1133, il manto servì per secoli all’incoronazione dell’imperatore del Sacro Romano Impero e oggi è conservato a Vienna insieme al resto del corredo.
Si filava e si tesseva anche all’Albergo dei Poveri, in Corso Calatafimi, voluto da Carlo III di Borbone a metà del Settecento per ospitare i bisognosi della città.
Palermo è una città con un sottosuolo pieno di canali, pozzi, grotte, camere dello scirocco, passaggi sotterranei, che ne accrescono il misterioso fascino.
All'interno del quartiere Matteotti di Palermo, in Piazza Edison, a pochi passi dalla centralissima Via Libertà, vi è un antichissimo pozzo misterioso, largo 12 metri e profondo 22, soprannominato il "Pozzo Sicano".
Fu scoperto per caso nel 1927, durante i lavori di taglio degli alberi e di sbancamento del quartiere ex Littorio di Palermo, oggi quartiere Matteotti; sulle pareti furono rinvenute scritte del secondo secolo avanti Cristo.
A svelarne le origini fu l’appassionato di archeologia e speleologia Alfredo Salerno, questi ipotizzò che fosse di fattura sicana, vista la presenza delle citate iscrizioni, originariamente intraducibili. Grazie al contributo di un professore dell’Università Orientale di Napoli, Berguinot, le iscrizioni vennero poi attribuite ai Cartaginesi.
Rimane comunque fra le curiosità e nel fascino misterioso della città di Palermo, anche Edgardo Natoli, figlio di Luigi, nel suo romanzo “Gli ultimi Beati Paoli”, ne parla come di un sito utilizzato dalla famosa setta.
Sicilia, la storia di Arthur, il paracadutista che non vide più il figlio.
Tratto da un video pubblicato sul quotidiano "La Repubblica", Leo Gullotta racconta la storia di Arthur, il paracadutista che non vide più il figlio.
Durante gli albori dell'Operation Husky morirono in totale 964 soldati dell'82a divisione aviotrasportata, 812 erano paracadutisti. Tra questi ci fu Arthur Fulbrook Gorham, comandante del primo battaglione del 505° reggimento di fanteria paracadutisti della 82a Airborne Division, la prima forza area alleata che volò nei cieli sopra Gela la notte tra il 9 e il 10 luglio del 1943.
Giovanni Falcone è stato un magistrato, un uomo dello Stato che ha dedicato la vita alla lotta alla mafia.
Investigatore rigoroso e dall’intuito straordinario, in un’epoca in cui si negava l’esistenza di Cosa nostra ne comprese la pericolosità militare e la capacità di penetrazione in tutti i settori della società.
Pioniere di un metodo d’indagine che vedeva nel lavoro in pool, nell’ormai celebre “segui il denaro” e nella cooperazione giudiziaria internazionale i suoi cardini, ha istruito, insieme al collega Paolo Borsellino, il primo maxiprocesso alle cosche, scardinando il mito di una mafia invincibile.
Cosa nostra lo ha assassinato a Capaci, il 23 maggio del 1992, insieme alla moglie Francesca Morvillo e agli agenti della scorta Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani.
Resta viva la sua eredità morale e professionale.
L'Esposizione Nazionale Italiana del 1891 fu la quarta edizione dell'esposizione nazionale svoltasi a Palermo, la prima del Mezzogiorno.
Fu articolata in dodici divisioni, su un'area di 130.000 m², di cui 70.000 coperti, ebbe 7.000 espositori, e furono emessi 1.205.000 biglietti.
Furono previsti anche una galleria delle belle arti, una mostra etnografica siciliana e una mostra eritrea.
La galleria delle Belle Arti comprendeva tre sezioni: Pittura, Scultura e Architettura.
La mostra etnografica siciliana fu curata da Giuseppe Pitrè e comprendeva nove sezioni: Costumi; Oggetti di uso domestico; Pastorizia, Agricoltura e Caccia; Veicoli; Alimenti; Spettacoli e Feste; Amuleti, Ex-voto e Oggetti di devozione; Giocattoli e Balocchi fanciulleschi; Libri e libretti.
Dentro il Palazzo dei Normanni, fiore all’occhiello di Palermo, si trova la semi sconosciuta Chiesa di Santa Maria delle Grazie, spesso impropriamente scambiata per la cripta della Cappella Palatina, che si trova esattamente sopra di essa.
Infatti, questa chiesa inferiore intima ed essenziale, non è mai stata concepita come parte della famosa cappella ricca di mosaici, anzi risale ad un periodo precedente ed è probabilmente l’edificio religioso più antico dell’area palatina.
Il complesso monumentale, costituito dalla Basilica, dal Convento con il Chiostro e dal Palazzo reale, venne fatto costruire nel XII sec. dal giovane re normanno Guglielmo II detto “Il Buono”.
C’è naturalmente un’antica leggenda che racconta come il Duomo sia nato: fu la Vergine Maria ad apparire in sogno a Guglielmo che dopo la caccia si riposava sotto un albero, e a spronarlo ad erigere un tempio in suo onore, dopo avergli svelato il luogo dove era il tesoro nascosto dal padre.
In verità le ragioni della costruzione del Duomo di Monreale e del complesso sono ben diverse e collegate alla storia stessa della Sicilia e ai rapporti fra Stato e Chiesa.
Guglielmo II con il suo Duomo di Monreale, rappresentazione eccezionale della sontuosa cultura normanna in Sicilia, inserito in un grande e preciso progetto architettonico che gli affiancò da una parte il palazzo reale, dall’altra il monastero, segno di incontro tra i due poteri, lo Stato e la Chiesa.
Incontro reso esplicito dalla presenza dei due troni, quello regale e quello arcivescovile, inseriti nella zona più importante del tempio, intorno all’altare, tra il transetto e la solea, e collegati sia con il palazzo del re sia con il convento.
Dal 3 Luglio 2015, il Duomo di Monreale fa parte del "PATRIMONIO DELL'UMANITA' - UNESCO".
In ricordo della fotoreporter Letizia Battaglia c'è una sua foto, scattata in un vicolo del quartiere Cala di Palermo, "La Bambina col pallone".
Quello scatto del 1980, divenuto celebre perché scolpisce il volto pulito di una bambina, diventa il simbolo della speranza e del futuro delle palermitane. Foto legata ad una bella storia di vita, perchè Letizia non aveva mai dimenticato quella bambina e, attraverso la trasmissione "Chi l'ha Visto", 40 anni dopo si ritrovarono.
L’insieme degli edifici costituenti l’itinerario arabo normanno di Palermo rappresentano un eccezionale valore universale come esempio di convivenza e interazione tra diverse componenti culturali di provenienza storica e geografica eterogenea (sincretismo culturale). Tale fenomeno ha generato uno stile architettonico originale in cui sono mirabilmente fusi elementi bizantini, islamici e romanici, capace di volta in volta di prodursi in combinazioni uniche, di eccelso valore artistico e straordinariamente unitarie.
Si narra che la prima apparizione storica che abbiamo dei Beati Paoli risale intorno alla fine del XVIII secolo, quando il marchese di Villabianca trascrive e pubblica i suoi “Opuscoli Palermitani” sostenendo fermamente l’esistenza di una confraternita denominata Beati Paoli che ha agito nell’oscurità intorno al 1180 circa.
Il nome della setta deriva dalla devozione a San Francesco da Paola, mentre la causa del termine “beati” è da ricercare nella pratica comune dei membri di girovagare per le Chiese di Palermo vestiti da monaci.
Durante la notte, invece questi uomini avevano il volto coperto da un cappuccio nero, in occorrenza, però, i Beati Paoli venivano anche chiamati i “vendicosi”, infatti, si pensa che la setta fosse formata per lo più da cittadini appartenenti a un ceto basso che facevano giustizia contro i soprusi dei nobili, nonché proprietari di feudi.
Come tutte le sette, i Beati Paoli avevano un rifugio. Tale luogo di ritrovo fungeva da vero e proprio tribunale, in cui la confraternita si riuniva per decidere sulla vita o sulla morte dei nobili rivali. Il tribunale era un insieme di vie e grotte sotterranee, appartenenti ad un’antica necropoli punica, che si pensa si estendessero sotto il mercato del Capo di Palermo.
Nel "Nuovo Vacabolario Siciliano-Italiano", scritto da Antonio Traina nel 1868 e pubblicato a Palermo dall'editore Giuseppe Pedone Lauriel, il termine della "Currera" viene indicato in colei che porta gli ordini, i dispacci del continente alle isole e viceversa.
Letizia Battaglia non si definiva fotoreporter, né tantomeno fotografa di mafia, a dire il vero, lei non si definiva nemmeno fotografa, ma, semplicemente, una persona che scatta fotografie.
La sua umanità traspare in ogni fotogramma, scattava avvicinandosi il più possibile al soggetto e stabiliva un legame empatico con i protagonisti dei suoi scatti, che sono soprattutto donne e bambini di una Palermo degli anni di piombo.
"La Bambina della Kalsa"
Ph Letizia Battaglia
Salita alla grande ribalta grazie all'incontro con Franco Battiato, che produsse il suo album del 1981 'Energie', la cantante palermitana Giuni Russo è stata una delle voci più belle e significative del panorama italiano degli anni 80 e 90.
Splendido esempio d’arte barocca, edificata nel 1633 su progetto di Mariano Smiriglio. Alla chiesa era annesso un convento, fondato intorno al XII secolo, più volte rimaneggiato fino al 1905, anno in cui fu demolito per la costruzione di una scuola.
I primi pupari siciliani costruivano da sè i paladini, guerrieri cristiani e saraceni, angeli, cavalli, draghi e figure mitologiche, riproducendo lo stile delle armature, creando i modelli e realizzando elmi, spade, corazze che poi rivestivano, pupi a volte dall'aspetto fiero, spavaldo o burlesco.
Nell'Opera dei Pupi si trasmettono ancora oggi stili e comportamenti del popolo siciliano come la cavalleria, il senso dell'onore, la difesa del debole e del giusto, la priorità della fede.
Le gesta dei paladini e il ciclo carolingio sono tra le tematiche trattate negli antichi canovacci usati dai pupari.
Carlo Magno, Gano, Orlando, Rinaldo, Angelica, hanno popolato le sponde dei carretti siciliani, i cartelloni propaganda degli spettacoli serali dei teatrini, le lambrette e i carrettini di uso vario e la fantasia di noi siculi, attraverso i cunti e le farse raccontate, la sera, attorno alla tavola di ogni casa.
La Chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio fu edificata nel 1143 da Giorgio di Antiochia, ammiraglio di re Ruggero II, nel XV secolo fu concessa al vicino convento delle suore benedettine, fondato nel 1194 da Goffredo ed Eloisa Martorana; da allora la chiesa venne detta, anche “Martorana”.
Di notevole interesse sono i mosaici bizantini che ricoprono parte dell’interno e gli affreschi settecenteschi del sottocoro, realizzati da Olivio Sozzi e Guglielmo Borremans. Il profondo presbiterio quadrangolare del 1685 è decorato da marmi mischi; sull’altare è un prezioso tabernacolo in lapislazzuli della fine del XVII secolo, e l’”Ascensione” opera d’impronta raffaellita, dipinta da Vincenzo da Pavia nel 1533. La chiesa fa parte dell'Eparchia di Piana degli Albanesi, diocesi cattolica di rito greco-bizantino della Chiesa Bizantina in Sicilia.
Il Castello o Palazzo della Cuba, dall'arabo Qubba (cupola), fu costruito nel 1180 da Guglielmo II come luogo per il riposo del sovrano nelle ore più calde, divenendo uno dei Sollazzi Regi dei re normanni di Sicilia.
Ibn Giubayr, viaggiatore e scrittore andaluso che nel 1183-1184, visitò Palermo durante il regno di Guglielmo II“
Stavamo per entrare nella città di Palermo quando fummo fermati e condotti alla porta vicino ai palazzi del re.
Attraverso spazi aperti, porte e corti reali, ammirammo palazzi con le torri squadrate, giardini e anticamere occupate da personale di servizio che abbagliarono i nostri occhi e confusero i nostri pensieri.
Tra le cose che vedemmo c’era una sala (maglis) in una spaziosa corte circondata da un giardino e i lati occupati da colonnati. La sala occupava l’intera lunghezza della corte e noi ci meravigliammo della sua estensione e dell’altezza delle sue logge.
Poi ci fu detto che qui il re pranzava con la sua corte.
Questi colonnati e le anticamere sono dove i suoi giudici, gli addetti al suo servizio e gli amministratori siedono in sua presenza…
Comprese tra Porta Felice e Piazza Kalsa, dette anche “Passeggiata delle Cattive”, non sono altro che una terrazza panoramica edificata lungo le mura difensive della città diventate presto luogo di incontro.
Qui le vedove della città, volendosi tenere distanti da occhi indiscreti, solevano camminare lungo una terrazza a loro riservata.
L’etimologia latina del termine chiarisce ogni dubbio: “cattive”, deriva dal latino captive, che vuol dire vedove, ovvero prigioniere del dolore del lutto.
La prima pietra della Chiesa di S. Ignazio Martire all’Olivella a Palermo, fu posta il 7 novembre 1598, alla presenza del Principe di Castelvetrano Carlo d’Aragona, Grande Ammiraglio di Sicilia, sul luogo dove, secondo la tradizione, sorgeva il palazzo e la villa della nobile famiglia di Sinibaldi, da cui ebbe i natali S. Rosalia, Patrona di Palermo.
Da questo fatto si fa risalire il nome di “Olivella“, ossia da “olim villa”.
La Regina Elisabetta II d’Inghilterra venne a Palermo in visita ufficiale per ben due volte.
La sua prima visita, nel 1980, ebbe scopo per lo più turistico, la seconda, nel 1992, fu decisamente più seria e istituzionale, avvenuta il 28 maggio, cinque giorni dopo la strage di Capaci.
Questo avvenimento non fece cambiare i piani della famiglia reale che aveva già programmato il viaggio, anzi volle dimostrare la propria vicinanza al popolo siciliano fermandosi a pregare sul luogo della strage.
In questo 2° video, attraverso una visita virtuale in 3D, entriamo dentro il Palazzo Reale (o dei Normanni) e nella meravigliosa Cappella Palatina di #Palermo.
l Palazzo Reale o dei Normanni si trova a #Palermo, ed è la più antica residenza Reale d’Europa.
Ancora visibili, nei sotterranei visitabili, i resti dei primi insediamenti punici, ma la prima parte costruita risale alla dominazione araba nel IX secolo.
Si deve a Ruggero II la costruzione di una magnifica cappella interna al palazzo, la “Cappella Palatina”, dedicata ai Santi Pietro e Paolo e consacrata nel 1140.
Oggi il Palazzo è la sede dell’Assemblea Regionale Siciliana.
Il Carcere di Palazzo Steri, utilizzato dall’inizio del ‘600 alla fine del ‘700 dall’inquisizione spagnola per imprigionare tutti i cittadini scomodi per la vita sociale, politica e soprattutto religiosa dell’antica città di Palermo.
I graffiti riscoperti, ci comunicano pensieri e stati d’animo struggenti, che arrivano a noi in modo diretto, opere realizzate nel buio per rimanere nel buio, che ci raccontano il dramma della prigionia più infame, perché spesso ingiusta.
"L'Arte rinnova i popoli e ne rivela la vita. Vano delle scene il diletto ove non miri a preparar l'avvenire"
Con questa epigrafe anonima, viene introdotto l’intrinseco fine ideale dell’arte, un fine propedeutico all’uomo di oggi e domani, un fine preparatorio alla civiltà.
l'Arte (quella con la A maiuscola) ha il dovere di stimolare i popoli ad ambire a migliorarsi.
Una continua ricerca di superare se stessi per preparare un domani più giusto e armonioso.
Porta Nuova fu eretta nel 1583, al posto di una porta preesistente (la cosiddetta “Porta del Sole”).
Porta Nuova fu deliberata dal Senato cittadino, per celebrare il rientro dell’imperatore Carlo V, dopo la vittoria di Tunisi contro i Mori (1535).
L’opera, che ricorda gli antichi archi trionfali di Roma, si presenta come una massiccia costruzione tardo-manierista, con un gran fornice sovrastato da una leggera loggia rinascimentale.
La costruzione termina con una copertura a cuspide ricoperta di maiolica.
Sul tetto a spioventi spicca l’aquila imperiale.
Molo Sant'Erasmo, sulla facciata dell’ex pastificio Virga, Igor Scalisi Palminteri ha dipinto SANTO ERASMO, il protettore dei marinai che guarda il mare in segno di fiducia in un futuro di cambiamento.
A Palermo, nel quartiere Capo, troviamo il murales del LEONE DEL TEATRO MASSIMO, realizzato dal sudafricano Ricky Lee Gordon, per il National Geographic, uno dei migliori street artist del mondo.
Lee Gordon ha voluto rendere omaggio alla città, riproducendo il gruppo bronzeo di Benedetto Civiletti.
A Palermo, tra vicolo Mongitore e via Dei Benedettini, spicca l'enorme edicola votiva dedicata alla Santa Patrona della città di Palermo, Santa Rosalia, dai tratti che ricordano lo stile dell’Art Noveau.
Si intitola VIVA SANTA ROSALIA la grande opera di Igor Scalisi Palminteri.
A Palermo, in via dello Spasimo, l'illustratrice romana Camilla Falsini ha realizzato il #murales di "FEDERICO II BAMBINO".
Un omaggio a una figura storica come simbolo di accoglienza, inclusione, curiosità. Federico II è un bambino col suo Drago a dondolo (Drago era il nome del suo cavallo) che, lungo le vie arabe della Kalsa, accoglie religioni, culture e arti.
A Palermo, in un campetto nel cuore del mercato storico di Ballarò, c'è il murale di SAN BENEDETTO IL MORO, il frate copatrono di Santa Rosalia.
L'opera di Igor Scalisi Palminteri “svetta” su uno spiazzo oggi riqualificato, simbolo di integrazione razziale dove, bambini di varie etnie del quartiere, giocano a calcio sotto lo sguardo del Santo.
BORGO VECCHIO FACTORY è un progetto di promozione sociale proposto dalle organizzazioni no profit “PUSH” e “Per Esempio Onlus”, in collaborazione con lo street artist #EmaJons, che ha previsto la realizzazione di un ciclo semestrale di laboratori di pittura creativa per 20 bambini del quartiere Borgo Vecchio di #Palermo.
I bambini oltre a svolgere le attività artistiche pomeridiane nella sede dell’associazione hanno collaborato con l’artista alla realizzazione di graffiti nel quartiere sulla base dei loro stessi disegni.
Continua la voglia di far rinascere i quartieri spesso trascurati dalle istituzioni.
Una bellissima iniziativa per la riqualificazione del rione Sperone a Palermo, nasce il sesto murale del quartiere.
"Sperone167" è un'alleanza creativa che unisce artisti, istituti scolastici e abitanti del quartiere che, per la realizzazione dei progetti, non usufruisce di patrocini o fondi pubblici, ma di libere donazioni e iniziative di crowdfunding.
Nella Palermo degli anni 70', i ragazzini giocano con palloni di cuoio e corrono tra le strade, ridendo e gridando.
Il Teatro delle Marionette, conosciuto come Opera dei Pupi, si affermò nell’Italia meridionale ed in particolare in Sicilia agli inizi del 1800. L’affermazione dell’Opera dei Pupi nei teatri e specialmente nelle piazze, fu favorita dai “Cuntastorie”
La prima formazione di bombardieri arrivò su Palermo alle 12,35 ed era costituita da 222 bombardieri pesanti (le cosiddette “fortezze volanti”), da 90 bombardieri medi, scortati da 118 caccia.
Dopo la raccolta delle mandorle, si procedeva alle "scrucchiulatura"(asportazione del mallo secco) e alla "scacciatura".
Un amore vissuto tra il Giappone e l'Italia, O' Tama Kiyohara, diventata Eleonora dopo il battesimo e il matrimonio con Vincenzo Ragusa, lo scultore palermitano che l'artista giapponese conobbe a Tokyo nel 1877, ha trascorso cinquantun anni della sua vita a Palermo, diventando una delle protagoniste principali del movimento artistico siciliano dell'epoca.
Goethe arrivò a Palermo il 2 aprile 1787 e, agli occhi del viaggiatore tedesco, la bellezza e il fascino della città si esaltavano emozionandolo come davanti ad un quadro di Lorrain: "Non saprei descrivere con parole la luminosità vaporosa che fluttuava intorno alle coste quando arrivammo a Palermo in un pomeriggio stupendo
La putìa (dal latino Apotheca) è nu nicòzziu nicu, pò èssiri lu nicòzziu d'alimentari ca s'attrova sutt'â casa, o 'n ginirali nu nicòzziu pri la vìnnita di diversi merci o pri attività artigianali. A putìa pò èssiri macari nu puntu di vìnnita di vinu sfusu (a taverna), ca si pò cunzumari 'n locu o si pò accattari pi purtarisillu.
U mistieri du "scarparu" è un mistieri anticu, ca ormai si pirdiu, iddu cunzistieva n'arriparari o custruìri i scarpi a musura, ma chiddu ca cchiù assai facieva, era lu travagghiu di arriparrari li scarpi, risulari, mèttiri i supratacchi e cùsiri i parti ca cu l’usu si spàrdanu. U matiriali usatu dô scarparu vinieva scigghiutu ‘n basi a nzoccu hann’a sèrviri i scarpi.
La leggenda racconta anche che, chiunque provi a contare il numero esatto dei Diavoli della Zisa, non ci riesce, questo perché questi iniziano a muoversi e mescolarsi. Inoltre se il giorno dell’Annunziata (25 marzo) i Diavoli vengono fissati troppo a lungo, inizieranno a muovere la coda o storcere la bocca.
Gli agrumi siciliani venivano esportati in tutto il mondo, i maggiori paesi importatori, dalla seconda metà dell’Ottocento, erano Inghilterra, Stati Uniti, Germania. Il mercato siciliano era molto importante, la Sloman di Amburgo, una società di navigazione, ogni cinque giorni mandava una sua nave a Palermo per caricare da diecimila a ventimila casse da 300-600 frutti.
Palermo, un estratto della vita nel quartiere dell'Albergheria nei primi del 900' Nella Via Porta di Castro rumoreggiano confusamente i venditori: e non si riesce a sentire neanche i carretti che ci minacciano alle spalle, carichi di barili di quel di Partinico o di verdure di Denisinni e dei Settecannoli.
Il lavoro del “curdaru” era molto caratteristico e apparentemente semplice: un ragazzino per poche lire o un pezzo di pane faceva girare con una grossa ruota con una manovella, questa, a sua volta, attraverso alcuni collegamenti faceva girare velocemente un’altra piccolissima ruota che aveva un uncino al centro, chiamato “animmula”.
L'antica linea tranviaria di Palermo è un pezzo importante della storia della città, fu inaugurata nel 1887 e rappresentò un importante passo avanti per lo sviluppo della città. Prima dell'arrivo del tram, il trasporto pubblico a Palermo era limitato a carrozze trainate da cavalli, che erano costose e poco efficienti. Il tram, invece, era un mezzo di trasporto più economico e veloce, che rese più accessibile la mobilità urbana.
Il Conte di Cagliostro, noto anche come Alessandro Cagliostro o Giuseppe Balsamo, fu un personaggio storico e leggendario associato all'alchimia, all'occultismo e alla magia nel XVIII secolo. Cagliostro nacque a Palermo nel 1743, si dice che abbia viaggiato in molte parti d'Europa, presentandosi come un nobile e un alchimista.
I Beati Paoli furono una setta segreta nata a Palermo, in Sicilia, nel XVII secolo, e secondo la leggenda, essi erano un gruppo di nobili che cercavano di far rispettare la giustizia e di proteggere la gente comune da governanti e funzionari corrotti. Essi operavano in segreto, indossando dei cappucci per nascondere la loro identità, venivano chiamati anche i “Vendicosi”.
Tifone o Tifeo, figlio di Gea e del Tartaro, era un Gigante e nella mitologia greca era la personificazione del vento del sud ed era il padre di tutti i venti più cruenti e dei più orribili mostri.
Angela Daneu Lattanzi Durante il secondo conflitto mondiale si distingue per avere messo in salvo il patrimonio librario raro e di pregio della Biblioteca Nazionale di Palermo, ricoverandolo personalmente nel complesso gesuitico di Polizzi Generosa e nel monastero benedettino di San Martino delle Scale. Nel dopoguerra si impegna nella ricostruzione delle biblioteche danneggiate dai bombardamenti, tra cui la Nazionale di Palermo, e nella qualità di soprintendente ricostituisce il sistema bibliografico della Sicilia centro-occidentale.
Tra le tante leggende palermitane, non mancano le storie legate a fatti misteriosi, intriganti e suggestivi, come quella del coccodrillo che divorava i bambini che giocavano vicino alle fontane del mercato della Vucciria a Palermo.
Pietro Fudduni, un nome che riecheggia nelle strade acciottolate e nello spirito vibrante di Palermo, non era solo uno spaccapietre, era un poeta del popolo, un commentatore sociale e un eroe popolare la cui eredità continua a risuonare secoli dopo.
Nel 2013, a Palermo, si diffuse la notizia di un'apparizione di una suora fantasma sul campanile della chiesa di Santa Maria della Mercede al Capo (l'antico mercato). La figura, che sembrava una suora in preghiera, era stata avvistata da numerosi passanti e attirava sempre più curiosi.
Tutto l'oro delle pareti, nei mosaici realizzati nel corso dei secoli, a partire dal regno di Ruggero II, ricopre la parte superiore delle navate, tutto il presbiterio e tutto ciò che si trova dietro l'altare maggiore.
Joe Petrosino, nato a Padula il 30 agosto 1860, è una figura storica di grande rilievo nella lotta contro il crimine organizzato. Emigrato con la sua famiglia a New York nel 1873, Petrosino iniziò la sua carriera come spazzino prima di diventare poliziotto nel 1883.
Giovanna Bonanno, nata a Palermo nel 1713, fu una donna che ha segnato la storia della città, conosciuta come la "vecchia dell'aceto", fu una serial killer che, secondo le cronache dell'epoca, uccise almeno sei mariti di donne che le commissionarono gli omicidi. La Bonanno era una donna povera e mendicante, che viveva nel quartiere della Zisa di Palermo, si diceva che fosse una fattucchiera in grado di preparare pozioni magiche che potessero far innamorare, ammaliare o persino uccidere.
Un giorno, una giovane donna di nome Maria giunse da Bonanno chiedendo il suo aiuto, Maria infatti era sposata con un uomo violento e crudele, e voleva liberarsene. La Bonanno promise di aiutare Maria e le preparò un filtro magico, Maria lo diede a suo marito e poco dopo l'uomo morì. Ben presto, altre donne cominciarono a chiedere l'aiuto della strega megera per liberarsi dei loro mariti, Giovanna Bonanno, che era una donna povera e disperata, non si fece scrupoli a soddisfare le loro richieste.
La Bonanno iniziò a preparare i suoi filtri magici con una miscela di acetato di piombo, arsenico e altri ingredienti, l'acetato di piombo era un ingrediente importante, perché era in grado di mascherare il sapore dell'arsenico. La Bonanno era una donna molto abile nel preparare i suoi filtri, Ella Era in grado di dosare l'arsenico in modo preciso, in modo da non uccidere le sue vittime all'istante, invece, le faceva morire lentamente e dolorosamente, con sintomi quali nausea, vomito, convulsioni e morte. In breve tempo, la Bonanno divenne la più temuta fattucchiera di Palermo, si diceva infatti che avesse ucciso più di venti mariti di donne che avevano subito violenze e maltrattamenti.
Nel 1789, Giovanna Bonanno fu arrestata e processata per omicidio, il processo fu molto pubblicizzato, e la megera fu condannata a morte. Il 30 luglio 1789, la Bonanno fu impiccata sulla forca in piazza Vigliena, a Palermo, la sua morte fu un evento traumatico per la città, e la sua storia è ancora oggi tramandata come una leggenda. La storia di Giovanna Bonanno è un esempio di come la superstizione e la paura possano portare a tragedie, in un periodo in cui la superstizione era ancora molto diffusa e la scienza non era ancora sviluppata, era facile credere che le persone potessero essere in grado di compiere atti magici, come uccidere con un filtro.
Splendido esempio di architettura Liberty. Fu realizzato dall'architetto Ernesto Basile, il quale decise di dedicarne la costruzione alla moglie Ida, tra il 1899 e il 1902, per volere della potente famiglia Florio.
E' una delle prime opere architettoniche in stile Liberty d'Italia e viene considerato uno dei capolavori dell'Art Nouveau a livello europeo. Vista l'attitudine cosmopolita e di grande viaggiatore di Vincenzo Florio, Basile decise di ricreare, attraverso i vari elementi dell'edificio, tutte le tappe toccate dal ricco borghese: superfici barocche, capriate tipicamente nordiche, torrette cilindriche che rimandano ai castelli francesi etc.
Terminato il periodo florido della famiglia, il villino cadde in disuso fino all'incendio del 1962 che ne danneggiò parte dell'interno. Finalmente, dopo un lungo periodo di restauro, il Villino Florio è fruibile ai visitatori.
Tra le tante leggende palermitane, non mancano le storie legate a fatti misteriosi, intriganti e suggestivi, come quella del 𝗳𝗮𝗻𝘁𝗮𝘀𝗺𝗮 della Suora del Teatro Massimo di Palermo.
Prima della costruzione del Teatro furono demolite alcune strutture preesistenti tra cui la Chiesa di San Francesco delle Stimate, compreso il monastero ed il cimitero annessi, consistenti nella Chiesa di San Giuliano e la Chiesa di Sant’Agata che all’interno dei monasteri custodivano anche le tombe di suore, preti e di altri defunti. Secondo la leggenda palermitana, durante il corso dei lavori di demolizione, pare sia stata profanata la tomba di una suora e da allora la credenza popolare vuole che il suo 𝗳𝗮𝗻𝘁𝗮𝘀𝗺𝗮 infesti il Teatro.
«Mentre scavavano i muratura truvaru 'sta cascia e lu spiddu si svegliò. Sta monaca 'nqueta a tutti picchì idda nun vuleva stu teatro o postu du conventu. (“Mentre scavavano i muratori trovarono questa cassa e lo spirito si svegliò. Questa monaca disturba tutti perché non voleva questo Teatro al posto del convento”)».
La suora era di bassa statura e diverse volte venne avvistata sul palco del teatro ed in altri ambienti dello stesso a lanciar maledizioni. Rumori misteriosi sono stati uditi diverse volte nella storia, provenienti dai sotterranei. A causa dell’altezza ridotta, il fantasma venne soprannominato dai palermitani “la Monachella” ed è proprio lei che viene indicata dai cittadini di Palermo come la principale responsabile della lunghezza ventennale dei lavori di costruzioni e dell’altrettanto lunga chiusura per restauri, furono infatti necessari ben 23 anni per la costruzione del Teatro e che per ulteriori 23 anni rimase chiuso in stato di abbandono.
Tra i tanti dispetti che si narrano, si sostiene che sia proprio il fantasma della Suora che si diverte a far inciampare le persone che non credono alla leggenda, nel primo gradino della rampe di scale di accesso al Teatro. Pertanto se venite a Palermo e visitate il Teatro Massimo, attenti al gradino e al fantasma della Suora 😂
La Commemorazione dei defunti, il 2 novembre, rappresenta per il popolo Siciliano e, in particolare, per quello Palermitano una ricorrenza molto importante, tanto che, tale giornata, viene definita "festa". Infatti, è tradizione palermitana "festeggiare" i defunti: una festa di colori, sapori, gioia per i piccoli ed un modo lieto per ricordare i propri cari. E' tradizione preparare "U Cannistru", un cesto ricolmo di primizie di stagione, frutta secca, altri dolciumi come la frutta martorana e i Pupi ri zuccaro, statuette di zucchero dipinte, ritraenti figure tradizionali come i Paladini.
La festa dei morti risale al X secolo, quando si credeva che, nella notte tra l'1 e il 2 novembre i defunti visitassero i cari ancora in vita portando ai bambini dei doni. Chiaramente questi doni venivano acquistati dai genitori e dai parenti dei bambini nelle tradizionali fiere soprannominate "fiere dei morti", dove, le numerose bancarelle, esponevano tanti giocattoli, che una volta acquistati, venivano nascosti in casa e trovati dai bambini il mattino successivo, con una sorta di caccia al tesoro. La sera prima, era uso nascondere una grattugia perchè si pensava che i defunti sarebbero andati a grattare i piedi ai bambini che non si comportano bene o il carbone.
Oltre ai giocattoli, l'usanza, che si tramanda ancora fra le generazioni, è quella di regalare dolcetti, come i biscotti tipici di questa festa: i crozzi 'i mottu (ossa di morto) o i pupatelli ripieni di mandorle tostate, i taralli (ciambelle rivestite di glassa zuccherata), i nucatoli e i tetù bianchi e marroni, i primi velati di zucchero, i secondi di polvere di cacao. Inoltre è tradizione preparare "U Cannistru", un cesto ricolmo di primizie di stagione, frutta secca, altri dolciumi come la frutta martorana e i Pupi ri zuccaro, statuette di zucchero dipinte, ritraenti figure tradizionali come i Paladini.
La frutta Martorana si lega anche per un altro motivo al periodo autunnale, oltre a essere diventata uno dei dolci tipici per il giorno dei Morti, infatti, è stata proprio creata alla fine di ottobre, secondo quanto narra la leggenda sulle sue origini e sul suo nome. Tutto nasce dalla chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio, detta Martorana in onore dell’aristocratica Eloisa Martorana, fondatrice nel 1194 del terzo monastero benedettino di Palermo, che sorge lì vicino, e anche del monastero di Santa Caterina nel centro storico della città (dove le suore preparavano e vendevano questi dolci fino alla metà del 1900).
Durante il periodo della dominazione normanna, racconta una nota tradizione, il convento ricevette una visita a sorpresa da un’elevata figura istituzionale (una versione parla del Re, un’altra del Papa, un’altra ancora di un generico alto prelato), curioso di vedere con i propri occhi il meraviglioso giardino delle benedettine, ritenuto tra i più belli di tutta Palermo: essendo appunto autunno inoltrato, gli alberi del giardino erano ormai spogli, ma le suore non si persero d’animo e trovarono uno stratagemma per rendere i rami di nuovo rigogliosi e ricchi di colore.
Mescolando insieme farina di mandorle e zucchero e utilizzando tutto il loro estro creativo, riuscirono a modellare dei dolci identici ai frutti, posizionati sugli alberi in maniera piuttosto verosimile tanto che lo stesso re (o chiunque fosse) si accorse dello “scambio” solo dopo aver raccolto e addentato un frutto di Martorana. Il gusto del dolce fu però così convincente che decretò l’inizio della preparazione di questa specialità, che quindi prese il nome del convento in cui fu scaltramente inventata.
Nel cuore pulsante di Palermo, e più precisamente a Piazza Bellini, circondata da antichi teatri, palazzi e altri luoghi di culto, si trova le splendida chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio, meglio conosciuta come Chiesa della Martorana. Si tratta di uno dei capolavori dichiarati patrimonio UNESCO nel 2015 e fa parte del circuito La Palermo arabo-normanna.
Considerata una delle meraviglie di Palermo, la Chiesa della Martorana si affaccia su Piazza Bellini e nasconde al suo interno un tesoro bizantino. Il ciclo di mosaici che impreziosisce la Chiesa fu completato prima del 1151, è il più antico di tutta la Sicilia ed ha un incommensurabile valore artistico. Il fulcro di questa composizione artistica è l’immagine del Cristo Pantocratore nella cupola, con ai suoi piedi quattro angeli prostrati in atto di adorazione. Nel tamburo della cupola sono raffigurati otto profeti e nelle nicchie dei pennacchi angolari i quattro evangelisti.
Altri elementi che meritano attenzione durante la visita alla Chiesa della Martorana sono: i pannelli policromi del 1538 raffiguranti “Giorgio d’Antiochia ai piedi della Vergine” e l'incoronazione di re Ruggero II e la pavimentazione policroma a mosaici e tarsie marmoree coro delle monache.
Il nome completo della chiesa è Chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio, ma tutti la chiamano Chiesa della Martorana dal nome di Eloisa Martorana, fondatrice di un convento di monache benedettine che nel 1453 ereditarono la chiesa. Proprio a queste monache si deve l’invenzione della frutta martorana, il tipico dolce di pasta reale che i siciliani usano consumare il giorno dei morti. L’idea di un colorato dolce a forma di frutta venne alle suore in epoca normanna, in seguito a una visita del Papa: non potendo servire frutta fresca poiché il raccolto era già passato, per far bella figura le suore si misero a impastare fruttini di pasta di mandorle da attaccare agli alberi per essere poi staccati e mangiati.
Antoine Dry, pseudomino di William Aimable Emile Adrien Fleury (Francia 1857 -1925), nobile francese, tenente colonello del corpo dei Dragoni, viaggiatore instancabile ha lasciato diverse opere, perlopiù militari e qualche resoconto dei suoi tanti viaggi. Nel 1901 visitò la Sicilia, riportando nella sua opera "Trinacria promenades et impressions siciliennes", pubblicata nel 1903, le sue impressioni sull'isola. Visitando la Cappella Palatina di Palermo scrisse: «L'entrata è al primo piano di una galleria aperta. Niente la indica. Varcai la porta, credendo di entrare in un corridoio qualunque: era la cappella famosa.» «Macchinalmente, subito mi tolsi il berretto. Ma mi pare che mi sarei scoperto, istintivamente, fin dalla soglia, davanti a una delle più prodigiose manifestazioni di bellezza che siano al mondo.
Si ammira ancor prima di riflettere e di comprendere: prima di aver visto tutto, si è presi ed è una delle più vive emozioni che io abbia mai provato, quasi una presa di possesso di tutto il mio essere: la testa, gli occhi e il cuore, da questo gioiello di trentacinque metri su dodici, da questa chiesa meravigliosa, che piove luce d'oro dai suoi mosaici, che scintilla nella bianchezza dei suoi marmi, armoniosa per le sue linee purissime, per i suoi colori e le sue luci.»
«Ecco veramente la chiesa tipo della religione di Cristo! Subito ci si trova più vicini a Dio che nelle immense navate nude delle cattedrali gotiche, che nelle basiliche celebri.» «Mi sembra che qui tutto inviti alla preghiera, all'omaggio indirizzato al Creatore, e allo stesso modo che macchinalmente mi tolsi il cappello, entrando nel santuario senza conoscerlo così, dopo averlo visto, istintivamente caddi in ginocchio.»
«L'armonia ammirevole della cappella, le sue linee pure, le sue delicate colonne di marmo di differenti tinte, il suo pulpito rosso, i suoi immensi candelabri scolpiti, i dettagli di tutto ciò non li vidi che più tardi, dopo la mia preghiera.» «Allora ho benedetto gli ammirevoli artisti, i cui nomi non sono neanche rimasti, che hanno saputo fare quest'opera superba ch'è la Palatina, questo gioiello unico del secolo dodicesimo, questo vero palazzo di preghiera! Da quale grazia sovrumana erano animati quegli architetti, quei pittori, quegli scultori dimenticati, che ci hanno saputo costruire questa meraviglia, prendendo alla Grecia i suoi mosaici, alle moschee arabe le loro colonne, al nord le sue linee gotiche, a Bisanzio i suoi colori smaglianti, prendendo anzitutto dalle loro anime credenti, il gusto che ha saputo unire tutte queste cose, alla grande gloria dell'arte cristiana, alla grande gloria di Dio crocifìsso?».
Nota almeno a partire degli inizi del Cinquecento come Cuba Soprana o Torre Alfaina, la struttura dovrebbe risalire alla seconda metà del XII secolo, verosimilmente agli stessi anni della Cuba (1180). Nel 1758 fu acquistata dal giurista Don Carlo Napoli, che fece apportare considerevoli modifiche alla struttura originaria, tanto da far scomparire la Cuba Soprana per dare vita a una tipica villa settecentesca con scala a duplice rampa contrapposta.
Della costruzione originale si conservano, nella facciata orientale della Villa (che costituiva, forse, la facciata principale della costruzione normanna) un grande fornice ogivale a doppia ghiera, attualmente murato, come anche le nicchie cieche a doppia ghiera che incorniciano monofore ogivali. Ma la vera sorpresa sta sottoterra, dove è stato scoperto un complesso sistema di canalizzazioni delle acque della sorgente del Gabriele, che sembra alimentasse una fontana del palazzo (salsabil) le cui acque fuoriuscivano dal fornice orientale per riversarsi in un bacino esterno.
A circa 200 metri di distanza, si scopre anche un chiosco, detto Piccola Cuba, in asse con la facciata orientale della villa: è rimasto immutato nei secoli e doveva essere utilizzato dal sovrano normanno per il riposo durante il giorno. Si tratta di un piccolo edificio a pianta quadrata sormontato da cupola, con archi a sesto acuto su ogni lato, incorniciati con bugne a guancialetto, motivo decorativo diffuso nelle costruzioni degli ultimi decenni del regno normanno (si ritrova nel campanile di Santa Maria dell’Ammiraglio e nelle chiese di Santo Spirito e della Magione). La cupola al suo interno presenta uno degli elementi peculiari dell’architettura arabo-normanna, ovvero il raccordo angolare con nicchie degradanti.
Anche la Cuba Soprana e la Piccola Cuba si trovavano dentro il parco reale normanno del Genoardo, il “Paradiso in Terra”, probabilmente già esistente all’epoca di Ruggero II e arricchito in epoca Guglielmina da palazzi, chioschi, padiglioni, fontane, bacini d’acqua e alberi di ogni varietà.
Dopo l’acquisto nel 1991 da parte della Regione Siciliana, Villa Napoli è stata interessata da una serie di interventi di restauro che hanno consentito il recupero delle coperture e dei corpi annessi. Soltanto di recente è stato recuperato il giardino con l’agrumeto storico e riadattato il sistema originario d’irrigazione.
La città di Palermo fino al XVI secolo non possedeva una propria passeggiata a mare, soprattutto per le frequenti mareggiate o per il pericolo di attacchi (soprattutto pirateschi) che non permettevano di considerare la linea di costa come una zona sicura. Una volta ridotti gli attacchi saraceni, la città riconsiderò il suo sbocco a mare come una fascia sicura da utilizzare anche per lo svago. L'antica Passeggiata alla Marina, sistemata nel 1582 dal viceré Marcantonio Colonna, fu frequentatissima dalla nobiltà e dalla borghesia palermitane, e in quello stesso anno iniziarono i lavori per la costruzione di Porta Felice e la strada del foro fu chiamata Strada Colonna.
Negli anni successivi la zona fu sempre più abbellita e curata, diventando la meta preferita per le passeggiate dei palermitani, in piena Belle Époque era luogo privilegiato degli incontri amorosi e mondani di nobili e ricchi borghesi, essendo ricco di esedre paesaggistiche, sbocchi a mare e teatri all’aperto.
Negli anni successivi, fu riportata all’originaria bellezza, la passeggiata delle Cattive (dal nome delle nobili vedove, ovvero ‘prigioniere’ del lutto, che qui erano solite ritrovarsi), ovvero la lunga terrazza addossata alle antiche mura difensive della città sulla quale si affacciano eleganti palazzi settecenteschi, tra cui il grandioso palazzo Branciforti-Butera della prima metà del XVIII secolo.
Allo stesso modo, nei giardini affacciati al mare, furono restaurati il neoclassico palchetto della Musica (1844), dove si tenevano concerti all’aperto
Prima della seconda guerra mondiale il mare giungeva a ridosso del percorso attuale della strada, in seguito agli attacchi aerei portati durante il conflitto, sia da parte tedesca che americana, alcune parti della zona portuale e del centro storico vennero danneggiate. Nell'immediato dopoguerra, la maggior parte dei detriti vennero dislocati in questa zona di costa, allontanando il mare e, di fatto, eliminando il lungomare. Per anni l'area rimase incolta e nell'abbandono, tra la fine degli anni novanta del XX secolo e i primi anni 2000 l'area fu ripristinata nel quadro di un piano di recupero costiero.
Il 7 maggio del 1624 arriva a Palermo, proveniente da Tunisi, il vascello della redenzione dei cattivi (riscatto dei cristiani prigionieri degli infedeli). Il Vicerè Emanuele Filiberto, contro il parere del Senato che sospettava che a bordo covasse la peste, ne permette l’attracco, “carico come era di mercanzie e ricchi doni a lui inviati dal Re di Tunisi”, la peste si diffonde in città.
Il 24 giugno la città venne dichiarata «infetta» e le porte cittadine vengono controllate dalle autorità, vennero chiuse delle zone della città e sorvegliate in entrata e uscita, complice la conformazione della città chiusa da cinte murarie e da vere e proprie porte di passaggio. I non palermitani che volevano uscire dalla città dovevano esibire una benda bianca al petto e passare obbligatoriamente un periodo di quarantena prima di entrare altrove.
Girolama La Gattuta, donna del paese di Ciminna, colpita dal morbo, in un letto dell’Ospedale Grande di Palermo, sogna S. Rosalia che le promette la guarigione se si fosse recata in pellegrinaggio sul Monte Pellegrino. Girolama, recatasi sul monte, beve dell’acqua che gocciolava dalla roccia, viene invasa da un senso di benessere, si sente subito guarita e si addormenta accanto all’ingresso della grotta. Le appare in sogno una donna, col vestito azzurro, il mantello all’indietro, un bambino in braccio e una collana di coralli al collo, le dice: “Figlia, sei venuta ad adempiere il voto: sei sanata”, Lei capisce che era la Vergine Maria. Poi, sempre in sogno, vede in fondo alla grotta, una giovane che in ginocchio pregava vestita di arbraxo (stoffa di sacco vecchio), la visione le indica un punto preciso dove scavare in fondo alla grotta, lì si sarebbe trovato “un tesoro”, “una Santa”. Al risveglio Girolama va verso il fondo, vede una grande pietra e capisce che quello è il “posto” ove scavare.
I primi di giugno del 1624, sotto l’insistenza della donna, iniziano gli scavi e il 15 luglio, sotto una grande lastra di marmo, vengono ritrovate ossa umane bianchissime, inserite in concrezioni calcaree. Al momento della scoperta la grotta è inondata da un forte profumo di fiori, si sparge la voce e sul monte sale una moltitudine di persone, pregano, bevono l’acqua e avvengono molte guarigioni. Le ossa vengono pulite e portate in città nella cappella dell’Arcivescovo Giannettino Doria che vorrebbe certezza sull’autenticità dei resti. Il 27 luglio del 1624 il pubblico Consiglio stabilisce di onorare S. Rosalia come patrona di Palermo, di dedicarle una cappella in Cattedrale, di onorare le sue reliquie con una solenne e “pomposa” processione e di costruire un’arca d’argento dove riporle. Il 4 febbraio del 1625 il saponaro Vincenzo Bonello, dopo aver perso la giovane moglie per la peste, sale, con intenzioni suicide, sul Monte Pellegrino con il suo cane ed il fucile. Gli appare in visione S. Rosalia che lo conduce verso la grotta e gli raccomanda di riferire all’Arcivescovo Doria di portare in processione per la città le sue reliquie, qui ritrovate, perché la peste subito cessi. Il Cacciatore, colpito dal contagio, così come gli aveva predetto la Santa, racconta, in punto di morte, la sua visione al suo confessore, Don Pietro Lo Monaco, Cappellano di S. Ippolito al Capo, che ne riferisce all’Arcivescovo. L'11 febbraio del 1625 il Cardinale Doria, colpito dal racconto del saponaro, riconvoca la commissione dei teologi e dei medici. Questa, il 18 febbraio, certifica che tra i reperti vi è un corpo “ingastato in densa pietra” certamente di giovane donna, viene pertanto dichiarata la autenticità delle ossa ritrovate come reliquie di S. Rosalia. Il 9 giugno del 1625 si svolge a Palermo la prima processione, tra un tripudio di folla ed anziché favorirsi il diffondersi del contagio, questo si blocca.
Il 3 settembre del 1625 il Cardinale Doria, luogotenente generale del regno, dispone che, essendo stata ottenuta per grazia di S. Rosalia la liberazione dalla peste, sia ripristinata la libera circolazione di uomini e merci. Nell'anno 1630 Santa Rosalia viene iscritta nel Martirologio che raccoglie i nomi di Martiri e Santi per ogni giorno dell'anno, con queste parole: (15 luglio) "A Palermo invenzione del corpo di S. Rosalia Vergine palermitana che sotto il Pontificato di Urbano VIII, ritrovato miracolosamente, liberò la Sicilia dalla peste nell'anno del giubileo.” Nel lockdown palermitano rimase “incastrato” anche un ospite illustre come Antoon Van Dyck, il pittore fiammingo che, segnato dall’esperienza palermitana, inaugurò l’iconografia di Santa Rosalia, l’ultima delle sante protettrici del Capoluogo siciliano, divenuta tale proprio per i miracoli attribuiti tradizionalmente a lei nella sconfitta della peste.
Van Dyck era arrivato a Palermo come affermato “artista di corte” nel 1624 su invito del viceré. Il pittore fiammingo, certamente addolorato per la situazione in città, fu confortato, come tanti palermitani allora, dalla speranza nell’aiuto divino. Il ritrovamento di resti di ossa, attribuite dal cardinale Giannettino Doria a Santa Rosalia, fu per molti la luce in fondo al tunnel. Le reliquie della donna vissuta diversi secoli prima furono portate in processione nel 1625, quando i casi di contagio si erano nettamente abbassati, e fu così che la “Santuzza” salvò la città. Van Dyck decise di dipingerla gloriosa, sorretta da angeli, vicina alle sue ossa, più e più volte. Avendo visto con i propri occhi la sofferenza di una città e la morte attraversarla, invisibilmente, fra classi agiate e povere, divenne infine devoto alla Santa.
Una “storia nella storia” questa di Van Dyck. La drammatica permanenza dell’artista divenne così l’origine dell’immagine, di fatto immutata nei secoli, di una donna giovane e bella, dai lunghi capelli e con lo sguardo rivolto al cielo. Rispetto a quelle rappresentazioni realizzare fra il 1624 e il 1625, è ancora lei la Santa Rosalia che viene tutt’oggi celebrata e osannata dai Palermitani per aver sconfitto la peste.
La chiesa fu edificata due volte in trent’anni in seguito alla distruzione della prima, ordinata da Federico II per vendicarsi della scomunica subita dal Papa, l'attuale edificio fu costruito tra il 1255 ed il 1277.
La definizione della facciata avvenne all’inizio del XIV secolo con la costruzione del portale a triplice ghiera, il quale termina in alto con un timpano triangolare, ove è iscritta una trifora cieca, decorata da pitture.
Nel 1872, il prospetto fu interessato da un profondo restauro, eseguito sotto la direzione di Giuseppe Patricolo, il quale sostituì il rosone precedente, che era andato perduto durante le trasformazioni apportate alla chiesa, basandosi sul disegno del coevo rosone della chiesa di S. Agostino.
L’interno è ampio a tre navate con profonde cappelle, tra le quali, di notevole rilievo , da menzionare sono: la Cappella Mastrantonio, realizzata da Francesco Laurana nel 1462, importante opera del primo rinascimento e la Cappella dell’Immacolata, a destra del presbiterio, decorata nel 1624 a spese del Senato cittadino, dove è possibile apprezzare la meravigliosa decorazione a marmi mischi che copre senza soluzione di continuità le pareti su cui si affacciano otto statue di Santi.
Tra le opere d’arte presenti al suo interno, si possono ammirare quelle realizzate da Domenico e Antonello Gagini, Pietro Novelli, Giacomo Serpotta etc.
Il monastero sorse dopo il 1311 per volontà testamentaria di B. Mastrangelo, nel 1532, a causa dell'accrescersi del numero delle religiose, provenienti da nobili famiglie, venne acquistata dal monastero la chiesa di San Matteo per ingrandire l'edificio.
Il monastero verso il XVI secolo per magnificenza e ricchezza diviene uno dei monasteri nobiliari e di clausura, più importanti del territorio palermitano, il fasto e la grandezza della chiesa esterna dovevano significare la potenza del Papato, nel caso specifico di tutto il complesso di Santa Caterina, altri due elementi in più: la nobiltà, il censo, il rango, il blasone delle monache e il fatto che la chiesa ubicata al centro della città, doveva essere all'altezza del luogo.
Il Chiostro, per ubicazione crocevia di tutti gli ambienti dell'aggregato monasteriale, era utilizzato come disimpegno e area ricreativa individuale per le celle di ogni singola religiosa, al centro del cortile alberato, una fontana con elevazione formata da vasche a conchiglia e sul piedistallo centrale è collocata la statua raffigurante San Domenico.
Il ruolo religioso e caritatevole del gruppo monacale di Santa Caterina è ben noto ai palermitani, soprattutto ai più anziani, che continuano a mantenere vivo il ricordo dei sapori dei dolci tipici siciliani, che le suore usavano produrre nei giorni di festa. Nonostante l'abbandono del personale religioso, è mantenuta viva la secolare tradizione della preparazione delle specialità seguendo rigorosamente le ricette tramandate da generazioni di monache pasticcere.
"I segreti del chiostro" è un progetto di riscoperta e valorizzazione delle antiche tradizioni della pasticceria conventuale, un'importante eredità materiale che non poteva andare perduta e che bisognava tramandare alle generazioni future. La spezieria o dolceria di Santa Caterina era il luogo del monastero preposto alla realizzazione di biscotti, pasticciotti ripieni, frittelle, conserve e così via, la vendita di dolci rappresentava una fonte di reddito importante per la sopravvivenza del monastero.
Entrando dalla Porta Carini di Palermo ci si immerge nell’euforia del “Capo” uno dei mercati rionali più antichi della città. Un tempo la chiesa era annessa al vastissimo monastero benedettino, fondato nel 1576, il convento si estese nei secoli successivi fino a raggiungere il limite settentrionale delle mura cittadine. Trasformato in ospedale dopo la confisca dei beni ecclesiastici nel 1866, è stato demolito, insieme ad una vasta zona limitrofa, nel 1932 per la costruzione del palazzo di Giustizia.
La chiesa fu costruita nel 1612 su progetto di Orazio Nobili, ha facciata esterna a due ordini, severamente impostata secondo i canoni del primo barocco romano. L’interno è ad un’ unica navata, riccamente decorata da marmi mischi e stucchi dorati, il soffitto a botte è decorato da stucchi dorati e dall’affresco di Olivio Sozzi con il Trionfo degli Ordini religiosi. Nel suo insieme è talmente sfarzosa da lasciare “a bocca aperta” tutti i visitatori.
Il rivestimento in marmo dell’interno è uno dei massimi capolavori di decorazione a mischio. Vi lavorarono: l’arch. Orazio Del Nobile e poi in un secondo tempo l’arch. Antonio Muttone, i lavori si protrassero fino al 1612 ma la decorazione degli interni continuò fino alla metà del settecento.
All’impianto decorativo concorsero con la loro opera: Pietro Novelli, Carlo D'aprile, Luigi Geraci e il gesuita Girolamo Monti insieme al gesuita arch. Angelo Italia. I due molto influenzarono, secondo i dettami dell’Ordine, nella decorazione della Chiesa rendendola nell’addobbo a mischio una commistione tra temi benedettini e temi gesuitici.
Si tratta di un mappamondo in 70 fogli realizzato dal geografo e viaggiatore arabo Muhammad al-Idrisi. La straordinaria carta geografica è un allegato del cosiddetto Libro di re Ruggero, un’opera commissionata ad Al-Idrisi da Ruggero II di Sicilia e su cui il geografo lavorò per quindici anni, interrogando viaggiatori esperti sulle loro conoscenze del mondo.
La Tabula Rogeriana per tre secoli è rimasto il mappamondo più preciso esistente. Il testo è una descrizione del mondo fisico, culturale, politico e socio-economico scritta dal geografo arabo al-Idrisi (Edrisi), nel 1154, cui è allegato il mappamondo in 70 fogli. Per elaborare la sua opera al-Idrisi interrogò, individualmente o a gruppi, viaggiatori esperti a proposito delle loro conoscenze del mondo.
Al-Idrisi si servì degli scritti degli antichi geografi latini e greci, ma anche delle sue osservazioni di viaggio così come di quelle di tanti altri esperti chiamati a collaborare. Anche i viaggiatori che giungevano in Sicilia da terre lontane venivano interrogati da al-Idrisi o da re Ruggero in persona o da funzionari appositamente istruiti: sulla forma delle terre, sulla altezza dei monti, sui lineamenti delle coste, sul clima delle zone dalle quali provenivano. Tutto veniva catalogato e confrontato con quello che avevano riferito altri viaggiatori ed infine si passava alla parte operativa consistente nel disegnare e descrivere. Per i paesi più lontani, al-Idrisi si servì dei racconti e delle descrizioni dei viaggiatori arabi che per oltre tre secoli avevano girato in lungo ed in largo il mondo allora conosciuto. Ma anche in questo caso, ancora una volta, al-Idrisi si mostra di essere grande innovatore, manifestando verso la stessa geografia araba uno spirito critico severo e rimarchevole. Così nella sua opera il leggendario è ridotto a semplici note al limite del folclorico e le cosiddette meraviglie e mirabilia, delle quali erano piene le carte medievali sia cristiane che musulmane, sono relegate ai margini del suo racconto e della sua rappresentazione geografica.
La chiesa di San Giovanni degli Eremiti sorge appena sotto le mura del Palazzo Reale, possiede una pianta a croce "commissa" e una volumetria compatta e regolare, cui fanno da contrappunto, a diverse altezze, le cinque caratteristiche cupole rosse, che creano un articolato gioco di volumi d’impronta decisamente islamica. All’esterno l’edificio si presenta una regolare stereometria dell’apparato murario, formato da conci squadrati di calcare che contrastano con la vivace coloritura delle cupole, innalzate su tamburi cilindrici con trombe angolari e ghiere archiacute a triplice rincasso. All’interno la navata si compone da due ampie campate quadrate, separate da un possente arco ogivale; il transetto è triabsidato con abside centrale sporgente all’esterno.
Sul volume dell’abside di sinistra (prothesis) si erge una torre campanaria quadrangolare con cupola. Dall’interno della chiesa, attraverso un piccolo vano ricavato nel muro del diaconicon, si accede alla “sala araba”, che alcuni studiosi fanno risalire a una preesistente moschea islamica.
In questo ambiente, oggi coperto da tre grandi volte a crociera cinquecentesche, è visibile un interessante affresco di fattura bizantina (seconda metà del XII sec.), raccolto in una nicchia archiacuta al centro della parete occidentale: una delicata Madonna in trono col bambino (purtroppo molto lacunosa) affiancata da due santi, forse San Giovanni e Sant’Ermete.
Da non dimenticare la visita al chiostro a pianta quadrata, composto da una sequenza continua di arcate ogivali a doppia ghiera su colonnine binate, addossato a un tratto delle mura di Palermo normanna.
Il complesso monumentale di Monreale, composto dalla chiesa, dal convento benedettino e dal palazzo reale, fu edificato per volere di re Guglielmo II (1166-1189) tra il 1172 e il 1183. La facciata della Cattedrale è inserita tra due massicce torri, tra le quali si estende il portico centrale edificato nel 1770 in sostituzione di uno precedente di età medievale. Al centro si trova il portale marmoreo di accesso cuspidato, con quattro ghiere ogivali a rincasso, arricchite da uno splendido partito decorativo con motivi figurati e astratti a rilievo, misti a tarsie in opus sectile geometrico con poligoni stellati.
Qui si apre la porta bronzea di Bonanno Pisano, composta da 48 formelle con scene bibliche, firmata e datata 1186. Il lato settentrionale della chiesa, coperto da un portico ad undici arcate a tutto sesto realizzato tra il 1546 ed il 1569, reca invece la porta bronzea realizzata nel 1179 da Barisano da Trani, costituita da 28 formelle con figure di santi ed evangelisti. Una decorazione ad archi intrecciati su colonne e tarsie laviche con motivi geometrici trionfa compiutamente nelle absidi, sviluppandosi sui tre ordini.
Gli straordinari mosaici che ricoprono le pareti interne dell’edificio rappresentano uno dei cicli più vasti del mondo medievale, coprono una superficie di oltre seimila metri quadri, con storie dell’Antico e del Nuovo Testamento rispettivamente nelle pareti della navata centrale e in quelle delle navate laterali e del transetto; nelle absidi laterali sinistra e destra sono raffigurate, invece, le storie dei santi Paolo e Pietro. Tuttavia, è di certo l’abside centrale a catturare lo sguardo: qui sono il Cristo Pantocratore e la Vergine col Bambino tra angeli e santi, e di particolare interesse i due mosaici con Guglielmo II incoronato da Cristo e Guglielmo II.
Per la grandezza e la ricchezza delle sue forme, rappresenta un esempio straordinario di questo tipo di costruzione, che sembra evocare i cortili porticati delle dimore signorili islamiche.
Dall’inizio dell’anno e fino ad agosto del 1982, quella maledetta estate, sulle strade di Palermo e provincia si contarono numerosi morti ammazzati, che arrivarono a 100, a seguito di una vera e propria mattanza, scaturita da una guerra tra cosche mafiose. Nei cento giorni intercorsi dalla data della nomina di Prefetto al Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa fino a quella della sua morte, cento furono i morti ammazzati. Palermo era prigioniera del piombo, il 30 aprile dello stesso anno era stato assassinato, sempre per mano mafiosa, l'Onorevole Pio La Torre insieme al suo autista.
A quel tempo mio padre acquistava giornalmente il quotidiano "L'ORA", che fu il primo giornale della Sicilia a mettere nero su bianco la parola mafia (inchiostro contro piombo), quando in molti sostenevano che non esistesse alcuna organizzazione criminale. Pertanto ogni giorno leggevamo in prima pagina la conta delle vittime, oltre a vedere le raccapriccianti fotografie dei corpi senza vita martoriati dai proiettili. Il Generale Dalla Chiesa era più solo che mai in questa guerra di mafia, il dieci agosto del 1982, meno di un mese prima della sua morte, il quotidiano La Repubblica pubblicò un’intervista clamorosa rilasciata al giornalista Giorgio Bocca, intitolata: "Un uomo solo contro la mafia".
Sono passati 41 anni, era il 3 settembre del 1982, ma quella maledetta sera la ricordo bene, come se fosse ieri, avevo 18 anni, ero in casa e stavo guardando la TV, quando ad un certo punto, dopo le ore 21:15, vi fu un’interruzione delle trasmissioni televisive per un’edizione straordinaria del telegiornale, che annunciava la tragica notizia del barbaro eccidio; la strage in cui furono assassinati dalla mafia il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, Prefetto di Palermo, assieme alla moglie Emanuela Setti Carraro e all'agente di scorta Domenico Russo. Quella stessa sera, in una Palermo stretta tra orrore e disperazione, una mano anonima lasciò un cartello sul luogo dell'agguato, sul quale scrisse: "Qui è morta la speranza dei palermitani onesti".
Voglio ricordare con Onore un grande servitore dello Stato, che ha lasciato un elevato esempio di lealtà ai valori costituzionali, di coerenza morale e di ineguagliabile coraggio.
A pochi chilometri da Palermo, in questo complesso religioso avvolto nella leggenda, si trova un Duomo che rappresenta una delle più grandi meraviglie dell'arte normanna in occidente. Secondo la leggenda, un giovane re normanno di nome Guglielmo II fu ispirato dalla Madonna in un sogno e decise di costruire il duomo nel luogo in cui ebbe questa rivelazione, oltre alla leggenda, la scelta di Monreale come luogo per il duomo era anche strategica, poiché il sito era protetto e offriva una residenza ideale per il re e la sua corte.
All'entrata del duomo, ci accoglie una magnifica porta di bronzo, questo capolavoro, risalente al 1186, è considerato un'opera straordinaria per l'epoca, poiché nel Medioevo la lavorazione e la diffusione del bronzo erano limitate. La porta è decorata con formelle raffiguranti diverse scene, che anticipano i magnifici mosaici che si trovano all'interno del duomo.
Una volta entrati nel duomo, si rimane abbagliati dalla luce proveniente dai mosaici dorati che rivestono le pareti, gli archi e persino il pavimento. Con una superficie totale di 6.400 metri quadrati, questi mosaici rappresentano un progetto unitario che unisce le influenze bizantine, cristiane latine, arabe e nord europee. Il tema principale dei mosaici è la salvezza attraverso la vita di Cristo e di altri personaggi delle sacre scritture, i mosaici sono stati sottoposti a rifacimenti nel corso dei secoli, ma sono stati restaurati per ripristinare l'aspetto originario dell'epoca normanna.
Al centro dell'abside del duomo troneggia il Cristo Pantocratore, che domina con il suo sguardo e il movimento delle sue braccia l'intera architettura del duomo, questa rappresentazione di Cristo rispecchia la potenza creatrice e la misericordia divina, il suo sguardo profondo e le sue mani che fanno il gesto della parola invitano i fedeli a seguirlo e a non camminare nelle tenebre.
Un capolavoro dell'Arte Normanna, rappresenta uno dei più grandi simboli dell'arte normanna in occidente. Ogni capitello del chiostro è un'opera d'arte unica e camminando al suo interno, si può ammirare la creatività e il lavoro incredibile che è stato fatto per realizzarlo. Il chiostro è anche un luogo di grande tranquillità, con il suono dell'acqua che cade da una fontana e le colonne che ricordano influenze orientali unite a motivi medievali.
Il Duomo di Monreale rappresenta un capolavoro dell'arte normanna in occidente, i suoi mosaici dorati, il Cristo Pantocratore e il magnifico chiostro sono testimonianze di una grande maestria artistica, un'esperienza unica, che permette di immergersi nella storia e nella bellezza di questo luogo sacro.
Quella della della baronessa di Carini è una storia di passione, tradimento, onore, vendetta e patriarcato, che ha affascinato e commosso per secoli la Sicilia. Una storia di femminicidio avvenuta nel 1563, che ha avuto un'influenza profonda sulla cultura siciliana, è stata raccontata in numerose opere letterarie, teatrali e cinematografiche, e continua ad affascinare e commuovere il pubblico, una storia toccante che arriverà oltre oceano. La protagonista della storia è Laura Lanza di Trabia, una giovane e bella nobildonna siciliana che, all'età di quattordici anni, viene data in sposa a Vincenzo La Grua Talamanca, barone di Carini, il matrimonio è combinato dai genitori di Laura, che sono interessati a rafforzare i propri legami di potere. Laura non è felice del suo matrimonio, Vincenzo è un uomo violento e possessivo, e non le permette di avere alcuna libertà, Laura troverà conforto nell'amicizia di Ludovico Vernagallo, un giovane cugino del marito. I due si innamorano e iniziarono una relazione segreta, è un amore a prima vista, passionale e travolgente, ma in contrasto con la loro condizione sociale. Laura e Ludovico si incontrano in segreto, la loro relazione è alimentata dal desiderio di libertà e di amore, essi sono consapevoli dei pericoli che corrono, ma sono disposti a tutto per stare insieme.
La relazione segreta fra Laura e Ludovico, verrà ben presto scoperta dal padre di Lei, Don Cesare Lanza, uomo violento e possessivo che non può accettare che sua figlia si sia innamorata di un uomo che non è all'altezza del suo rango. Furioso Don Cesare decide di vendicarsi e il 4 dicembre del 1563, manda i suoi uomini a uccidere Laura e Ludovico. Si narra che Laura, colpita ripetutamente al petto e alle spalle, scivolò per terra lasciando l’impronta indelebile della sua mano insanguinata sul muro.
La storia della baronessa di Carini è anche una storia che parla della condizione della donna in un'epoca in cui i suoi diritti erano molto limitati, Laura è una donna forte ma vive in una società patriarcale in cui la donna è considerata una proprietà dell'uomo. Laura non ha alcuna voce in merito al suo matrimonio, viene data in sposa a un uomo che non la ama e non ha alcuna possibilità di ribellarsi, la sua unica via di fuga è l'amore, ma anche questo amore è destinato a essere tragico. Quella della della baronessa di Carini è una storia che continua ad essere attuale, parla della lotta delle donne per la libertà e per l'uguaglianza.
Quando nel 1938 il fascismo promulgò le leggi razziali io avevo tredici anni e frequentavo la terza ginnasio. Fin dal primo anno avevo stretto amicizia con un compagno di classe che si chiamava David....
Il Museo delle Maioliche Stanze al Genio, situato a Palermo, rappresenta un vero e proprio scrigno di tesori artistici, capace di incantare gli appassionati di storia, arte e design. La sua collezione di oltre 5000 mattonelle di maiolica italiana, risalenti al XV al XX secolo, offre un affascinante viaggio attraverso l'evoluzione di questa tecnica decorativa, svelando la maestria di artigiani e artisti di epoche diverse.
Il Bando era un annuncio di interesse pubblico che veniva letto per le vie della città ad alta voce dal “ Banditore “, che era preceduto da squilli di tromba o da rulli di tamburo. Da qui prese il nome
il termine siciliano “ abbanniari “ che va inteso come comunicazione ad alta voce per quanto concerne la vendita di un prodotto.
I Bandi erano Reali, Vicereali, del Senato, della Commissione di Salute Pubblica, etc.
Il cittadino, molto spesso non capiva il nesso delle nuove leggi, quindi non ne teneva conto.
Il Banditore iniziava ad elencare il nome dell’Autorità che lo promulgava, accompagnato dai molteplici titoli nobiliari e dopo una lunga dettagliata esposizione dei fatti ai quali si intendeva porre rimedio, “ ordinava, provvedeva e comandava “ il preciso rispetto delle norme e disposizioni elencando un lungo e dettagliato elenco delle pene che sarebbero state inflitte ai trasgressori.
La Chimica Goldenberg, meglio nota come Chimica Arenella dal nome dell'omonima borgata, fu costruita a Palermo nel 1909 ed era adibita alla produzione ed al commercio di acido solforico, citrico, tartarico e citrato.
Erano i tempi in cui la Palermo dei Florio sognava in grande, gli investitori europei guardavano con interesse il tessuto produttivo palermitano, e la sua posizione invidiabile nel cuore del Mediterraneo.
Era la più grande fabbrica d'Europa, con un’area di quasi 74 chilometri quadrati.
Il complesso, chiuso nel 1987, era costituito da 14 edifici, oggi in totale stato di abbandono e di degrado, spesso utilizzati come una discarica a cielo aperto.
In questa foto del 1937, la produzione dell'acido citrico.
L’artista palermitano Igor Scalisi Palminteri ha recentemente completato un significativo murale a Cefalù (PA), dipingendo una parete degli alloggi comunali di via Pietragrossa.
L’opera, intitolata “Ti Rissi No" si pone come un potente messaggio contro il femminicidio e la violenza di genere, affrontando con forza e sensibilità una questione di rilevanza sociale sempre più pressante.
L’artista, Igor Scalisi Palminteri, descrive il murale come un tributo alle donne vittime di femminicidio e violenza. Il corpo dipinto sulla parete rappresenta tutto ciò che spesso rimane invisibile: l’anima, i sentimenti e gli sforzi delle donne, spesso trascurati nella società ombreggiata dalla violenza di genere.
La tradizione siciliana è ricca di dolci il cui significato è legato a determinate festività.
Tra questi, vi sono sicuramente i Pupi di Zucchero, chiamati Pupa ri zuccaro o Pupaccena, sono uno dei simboli della Festa dei Morti e vantano una storia antica e molto interessante.
I Pupi sono dolci fatti di zucchero indurito e dipinto, le fattezze rievocano figure tradizionali come Paladini di Francia, ballerini e personaggi tipici dell’opera dei Pupi.
Secondo una leggenda, durante la dominazione araba in Sicilia, un nobile arabo ridotto al lastrico, un giorno volle invitare alcuni ospiti.
Non avendo la possibilità di comprare cibi particolari, creò questa nuova ricetta, che fu apprezzata con entusiasmo. Da qui l’usanza di chiamarli Pupi di Zucchero o, appunto, Pupaccena, cioè pupi a cena.
La maggior parte delle navi passeggeri arriva a Palermo poco dopo l'alba, e nel piacevole clima primaverile, alla fine dell’inverno o a primavera avanzata la grande baia sembra una lastra di berillo dorato, senza onde, punteggiato qua e là da piccole imbarcazioni che sembrano scolpite e che spiccano in contrasto con le scogliere violacee, nella baia.
Arthur Stanley Riggs (1879-1952)
Genoard, dall’arabo Giardino Paradiso, occupava la parte occidentale della piana di Palermo.
All’interno del parco c’erano la Cuba, la Zisa, la Cuba Soprana e lo Scibene, edifici di sollatium ispirati al modello persiano. Grandioso giardino di matrice islamica era un luogo di piaceri ricco di giardini di agrumi, vasche d’acque circondate da palme, frutteti irrigati da acque perenni, fontane e sorgenti.
I Normanni utilizzavano i palazzi immersi nel Genoard come dimore estive.
La Cubula, o piccola cuba, è un padiglione immerso nel parco del Genoardo di Palermo.
La sua struttura richiama le forme dei mausolei dell’Ifriqiyya e dell’Egitto fatimide con pianta quadrata, archi a sesto acuto decorati con bugne.
L’edificio è sormontato da una cupola di forma emisferica.
La Palermo arabo-normanna e le Chiese Cattedrali di Cefalù e Monreale testimoniano una particolare condizione politica e culturale caratterizzata dalla feconda convivenza di popoli di diversa origine (musulmana, bizantina, latina, ebraica, lombarda e francese).
Questo scambio ha generato una combinazione consapevole e unica di elementi, derivati dalle tecniche architettoniche e artistiche delle tradizioni bizantine, islamiche e occidentali.
Questo nuovo stile ha contribuito allo sviluppo dell’architettura del versante tirrenico dell’Italia meridionale e si è diffuso ampiamente in tutta la regione mediterranea medievale.
La panificazione avveniva di solito una volta alla settimana, le forme di pane venivano cotte presso i fornai della borgata e, per distinguere le proprie pagnotte da quelle delle altre famiglie, ogni massaia metteva segni particolari sulle proprie forme: bastoncini, cerchietti, crocette, piccoli disegni di pane, lasciati alla fantasia e alla creatività di ogni mamma.
Delle cinque porte che si aprivano lungo le mura dell’arco della Cala di Palermo, quella detta “della Dogana” era la prima che si incontrava provenendo dalla Strada Colonna (attuale Foro Italico).
Venne aperta nel 1570 allo scopo di consentire l’ingresso delle merci provenienti dal mare e che venivano riposte nei magazzini della città prima di essere messe in commercio, allo scopo di far pagare le gabelle.
Era nota infatti come Porta della Doganella (a' Duaniedda) e fu abbattuta intorno al 1852, per agevolare il crescente traffico veicolare.
Il manufatto era inglobato nella cortina denominata Mura della Lupa e si stagliava accanto al cantone nord-orientale, oggi occupato dalla scalinata d'accesso della chiesa di Santa Maria della Catena.
La porta era interamente realizzata in pietra tufacea d’intaglio, e la parte esterna era sormontata da una grande aquila ad ali spiegate con in petto l’arme reali, a destra e a sinistra erano rispettivamente gli stemmi del vicerè e della città.
Oltre alla porta e alla vicina chiesa della Catena, vi era una statua su un piedistallo, eretta il 1 Maggio del 1701, che raffigurava Filippo V.
Lo sfincionello palermitano è molto simile al popolare sfincione, fà parte della rosticceria palermitana e rappresenta il classico cibo da strada.
Pare che questa golosità sia stata inventata dalle suore del monastero di San Vito di Palermo.
Si tratta di una antica ricetta che vede come ingrediente cardine il pane pizza (morbido e lievitato), con sopra una salsa a base di pomodoro, cipolla, origano, pezzetti di formaggio tipico siciliano (caciocavallo) e un filo d’olio extravergine d’oliva.
Antichi mestieri scomparsi: U Carbunaru (carbonaio).
Con questo nome si intende colui che produce carbone, ma in alcune zone della Sicilia il nome di carbunaru stava ad indicarne anche e soprattutto i rivenditori di carbone.
Di fatto, erano solo pochi contadini a produrre il carbone vegetale e per il solo fabbisogno familiare.
Il carbone era per lo più prodotto nei paesi siciliani delle Madonie dove, per la presenza di boschi, c’era molta disponibilità di legna.
Il carbone arrivava nelle città e nei paesi a bordo di carretti e veniva smistato in alcuni magazzini dove in tanti, anche dai centri vicini, venivano a rifornirsi.
In tempi antichi il carbone era indispensabile in certe fabbriche ma anche nelle case, se ne faceva infatti uso in cucina, ma pure per i ferri da stiro e per il braciere che, nelle fredde sere d’inverno, serviva a riscaldarsi.
«Io sono nato in Sicilia e lì l'uomo nasce isola nell'isola e rimane tale fino alla morte, anche vivendo lontano dall'aspra terra natia circondata dal mare immenso e geloso».
Luigi Pirandello
Quando Aretha Franklin si esibì a Palermo: "Fu la nostra Woodstock siciliana".
La regina del soul Aretha Franklin, nel corso della sua immensa carriera si è esibita anche a Palermo, protagonista il 17 luglio del 1970 del “Palermo Pop 70”.
L'oratorio della Congregazione delle Dame del Giardinello al Ponticello è un luogo di culto ubicato in via Ponticello, nel quartiere dell'Albergheria sulla direttrice via Maqueda - chiesa del Gesù a Casa Professa, nel centro storico della città di Palermo.
Costruito tra il 1595 e il 1608 in prossimità della chiesa di Santa Maria delle Grazie al Ponticello - oggi santuario di Nostra Signora di Lourdes - l'oratorio nasce contemporaneamente alla Congregazione segreta intitolata a Maria Santissima dell'Aspettazione del Parto della Vergine, costituita dalle nobili dame del tempo per assistere in preghiera e per contribuire materialmente le partorienti disagiate dell'Albergheria.
Palermo 1943, dopo lo sbarco degli alleati americani, molti ragazzi, per superare il momento critico della fame e della povertà scaturita dalla guerra, impararono il mestiere del lustrascarpe, attività poi scomparsa nel tempo.
Lucio Dalla e Francesco De Gregori nel Tour "Banana Republic", in concerto allo stadio della Favorita di Palermo il 5 luglio del 1979.
35 anni dopo De Gregori dichiarò: «Che serata! Sono passati trentacinque anni, ma è un'emozione ancora viva, lo stadio era stracolmo, non ho idea di quanta gente potesse esserci, ma era traboccante. Me lo ricordo quasi con stupore, con Dalla eravamo felici, quella tournée è stata straordinaria, in Sicilia Lucio si esaltava, era grande, amava questa terra in modo particolare, ed era un sentimento che trasmetteva a chi gli stava accanto».
A Palermo, il gioco di quando eravamo bambini era “Acchiana u patri cu tutti i so figghi”, tradotto per i non siculi “sale il padre con tutti i suoi figli”, che vedeva sfidarsi due squadre con la conditio sine qua non di avere schiene molto forti. La filastrocca che si recitava era questa: “Acchiana u patri cu tutti i so figghi. Quattru e quattru uottu, scarrica u buottu; l’acieddu cu li pinni, scarrica e vattinni”.
Il capitano della prima si appoggiava al muro con le braccia e dietro di lui, uno dopo l’altro, gli altri compagni, fino a formare la “groppa” di un cavallo, prendendo la rincorsa, dovevano saltare a “cavallo” sopra il giocatore che sta sotto, senza cadere e aspettando che gli altri compagni facciano lo stesso. Al grido: “acchiana lu patri cu tutti i so figghi”, gli altri dovevano presentarsi, dicendo: “u figghiu” fino all’ultimo che doveva recitare: “quattru e quattru ottu, scarrica lu bottu; l’aceddu cu li pinni scarrica e vattinni: unu, dui e tri fannu vintitrì, unu dui e tri fannu vintitrì, ti dugnu un pizzicuni e mi nni vaju” (pizzicotto che deve darsi per davvero).
La Cappella di Nostra Signora di Guadalupe, la più esuberante delle cappelle della Chiesa Di Santa Maria Degli Angeli Presso La Gancia a Palermo, ospita la tomba di Don Juan Lopez de Cisneros, l’inquisitore ucciso nelle segrete dello Steri “dall’eretico” frà Diego la Matina nel 1657, la cui vicenda è stata raccontata da Sciascia nel suo libretto “Morte dell’Inquisitore”.
Il Palazzo Lanza Tomasi è ubicato nel centro storico di Palermo, nel cuore del quartiere Kalsa, fu l'ultima dimora del Principe Giuseppe Tomasi di Lampedusa, il celebre autore del Gattopardo, il quale vi trascorse gli ultimi anni della sua vita , sino alla morte nel luglio 1957, dopo la distruzione del suo palazzo avito, Palazzo Lampedusa, nei bombardamenti alleati del 5 aprile 1943.
Il figlio adottivo Gioacchino Lanza Tomasi ha ricostituito l'intera proprietà negli anni Settanta e ne ha amorevolmente curato il restauro.
Il video mapping abbraccia un diverso modo di narrare i beni culturali della città e i luoghi legati all’arte sacra, in pochi minuti di gioco tra tecnologia e arte in perfetta simbiosi tra loro, si torna indietro di secoli dentro l’ex convento di clausura che fu Santa Caterina.
La Chiesa in versione serale si illumina di fasci di luce e figure 3d.
Dai racconti dei miei nonni e anche di mio padre, che durante la seconda guerra mondiale era un ragazzino, compresi perchè egli non rinunciava mai al pane sulla tavola.
La foto, scattata a Palermo nel 1943, ritrae le persone davanti ad un panificio, in attesa che fosse sfornato il pane, e, quantunque la guerra e i razionamenti alimentari avessero generato miseria e fame, qualcuno trovava la forza per sorridere, in particolare le "donne coraggio", madri che, oltre al loro ruolo, a causa dell'assenza dei propri uomini partiti in guerra, dovevano fare per i figli anche le veci del padre, ed essere da esempio impartendo loro quegli insegnamenti di vita e soprattutto esortarli ad non abbandonare mai la speranza del cambiamento.
L’Italia entrò nel secondo conflitto mondiale il 10 giugno 1940, alla fine dello stesso anno la situazione alimentare peggiorò velocemente e si manifestò una crisi dei generi di prima necessità, pertanto in applicazione alla legge sul razionamento dei consumi, la distribuzione dei generi alimentari di più largo consumo, era effettuata esclusivamente attraverso la carta annonaria.
L’ammontare delle razioni individuali era fissato mensilmente dal ministro delle corporazioni, la tessera era personale e non cedibile, dava diritto a generi alimentari differenziati a seconda della fascia di età.
I generi alimentari dovevano essere prenotati in giorni prestabiliti presso i negozi, ed era vietato il commercio in qualunque altra forma.
Dagli scatti di queste fotografie sono passati 80 anni, di tutto ciò oggi rimane soltanto un ricordo, indelebile per chi ha vissuto quei giorni terribili e di riflessione per chi appartiene ad una generazione diversa, alla quale il pane sulla tavola non è mai mancato.
Il Santuario di S. Rosalia, costruito intorno al XVII secolo, si trova a #Palermo all'interno di un anfratto di roccia, quasi sulla cima del Monte Pellegrino.
Custodisce le ossa di Santa Rosalia, che secondo la tradizione, sarebbero state trovate sul monte da un cacciatore nel 1624 mentre la peste flagellava la città.
Sempre secondo la tradizione, grazie al ritrovamento, la peste venne sconfitta e il senato palermitano le dedicò il santuario nel quale sono presenti molti ex-voto depositati dai fedeli.
Sotto un baldacchino vi è l'altare con il simulacro della "Santa Rosalia giacente" inserita in una teca in vetro immersa negli ex-voto dei devoti.
La tradizione e la devozione popolare dei palermitani, "l’acchianata" al Monte Pellegrino, al Santuario di S. Rosalia, Patrona di Palermo, avviene nella notte tra il 3 e il 4 settembre, e si può definire come un viaggio vero e proprio, tale è la fatica che i fedeli sostengono per recarsi in pellegrinaggio dalla Santuzza.
I fedeli affrontano la salita anche a piedi scalzi, trascinandosi sulle ginocchia nude nell’ultimo tratto della scalinata, per sciogliere un voto promesso per grazia ricevuta.
E’ una Chiesa romanica e che esternamente ricorda edifici orientali.
Tale richiamo all’Oriente viene ancor più enfatizzato dalle cupole di colore rosso acceso, restaurate nell’ottocento dall’Architetto Giuseppe Patricolo forse simili all’originale.
Dal 3 luglio 2015 fa parte del Patrimonio dell’Umanità (Unesco) nell'Itinerario Arabo-Normanno di Palermo, Cefalù e Monreale”.
Il 27 maggio dell’anno 1860, nel corso della Spedizione dei mille, Garibaldi proprio su questo ponte e nella vicina via di porta Termini si scontrò con le truppe dei Borboni, lì posizionate perché rappresentava un punto d’ingresso alla città per chi veniva da sud, in quel caso anche Garibaldi proveniva dal Monte Grifone e precisamente dalla frazione di Gibilrossa.
Ciò provocò l’insurrezione di Palermo.
Dal 3 luglio 2015 fa parte del Patrimonio dell’umanità (Unesco)
Un bellissimo video del Palazzo dei Normanni a Palermo
Il Tribunale dell'Inquisizione e le Carceri segrete di Palazzo Chiaramonte Steri a Palermo.
A Palermo, a Piazza Marina, c'è il palazzo Steri-Chiaramonte che, per le storie drammatiche che l’hanno interessato, viene visto dai palermitani, e non solo, come austero e tenebroso. Ma è un palazzo come tanti altri, segnato purtroppo da avvenimenti tragici, che questa volta non appartengono a leggende metropolitane, ma a fatti realmente accaduti durante la dominazione spagnola.
I Vespri siciliani furono una ribellione scoppiata a Palermo all'ora dei vespri di Lunedì dell'Angelo nel 1282. Bersaglio della rivolta furono i dominatori francesi dell'isola, gli Angioini, avvertiti come oppressori stranieri.
Da Palermo i moti si sparsero presto all'intera Sicilia e ne espulsero la presenza francese.
Tutto ebbe inizio in concomitanza con la funzione serale dei Vespri del 30 marzo 1282, lunedì dell'Angelo, sul sagrato della chiesa del Santo Spirito, a Palermo.
A generare l'episodio fu, secondo la ricostruzione storica, la reazione al gesto di un soldato dell'esercito francese, tale Drouet, che si era rivolto in maniera irriguardosa a una giovane nobildonna accompagnata dal consorte, mettendole le mani addosso con il pretesto di doverla perquisire. A difesa di sua moglie, lo sposo riuscì a sottrarre la spada al soldato francese e a ucciderlo. Tale gesto costituì la scintilla che dette inizio alla rivolta.
La più bella delle fontane di Palermo è la Fontana Pretoria, che sorge nella piazza omonima. Su commissione di Don Pietro di Toledo, la fontana è stata ideata e realizzata a Firenze - fra il 1552 e il 1555 - dagli scultori Francesco Camilliani e Michelangelo Naccherino, forse con la collaborazione di fra Angelo da Montorsoli, per il giardino di Luigi di Toledo, ma fu poi venduta al Senato Palermitano. Fra il 1574 e il 1584 Camillo, figlio di Francesco Camilliani, giunto a Palermo provvide alla sistemazione, al montaggio e al completamento dei pezzi della fontana giunti da Firenze, per adattarla alla Piazza Pretoria, con
interventi integrativi, cui parteciparono, oltre al Naccherino, scultori locali, marmorari e maestri d’acqua.
Nella parte centrale, la Fontana è del tipo a “candelabra”,
secondo la tradizione rinascimentale fiorentina, con pianta ellittica con tre tazze che si susseguono in modo degradante in altezza attorno ad uno stelo, culminante con la figura di Bacco; alla base è stata aggiunta una vasca grande.
Al livello inferiore sono quattro vasche ovali con quattro figure adagiate, personificazioni di fiumi (l’Oreto, il Papireto, il Gabriele e il Maredolce), addossate al bordo esterno della grande peschiera, all’interno della quale versano acqua le teste di sei animali che fuoriescono da nicchie; la peschiera è divisa in quattro settori separati da gradinate, che conducono al circuito superiore, e da balaustre su cui spiccano quattro figure di divinità. Una balaustra di marmo recinta il tutto, interrotta da quattro aperture inquadrate da due Erme ciascuna.
Henri-René-Albert-Guy de Maupassant, scrittore, drammaturgo, reporter di viaggio, saggista e poeta francese, nonché uno dei padri del racconto moderno giunto a #Palermo nella Primavera del 1885, in una memorabile pagina tratta dal suo viaggio in #Sicilia, definì il carretto siciliano: “un rebus che cammina” per il valore dei suoi elementi decorativi.
In un tempo in cui i libri e la conoscenza erano per pochi, il carretto siciliano divenne portatore arcanico di messaggi e piccola opera d’arte paragonabile a una sorta di manifesto ambulante della narrazione storica. Infatti, al posto dei testi, venivano tramandati con grande immediatezza il fluire del tempo, delle epoche, attraverso le vite dei Santi, le gesta dei sovrani, le battaglie di Napoleone, i Vespri Siciliani, facendolo diventare incarnazione di un’iconografia corposa e memorabile.
Della Cattedrale di Palermo non è solo il prospetto meridionale da ammirare ma anche quello orientale, visibile dalla Piazza Sett'Angeli, è costituito dalle torri angolari sud e nord-orientale, dalle pareti esterne delle absidi aperte in quello che era l'Antitulo dell'antico tempio gualteriano.
Qui in una cartolina d'altri tempi
A Palermo in Via Luigi Siciliano Villanueva, nel quartiere Albergheria, Andrea Buglisi ha realizzato FIDES, la raffigurazione di un colibrì che solleva un macigno.
Il titolo del murales, che significa fede in latino, indica la determinazione nel portare a termine anche le imprese apparentemente impossibili con impegno e dedizione.
Il colibrì rappresenta l’arte che riesce a cancellare con la sua forza creativa il degrado.
Il Teatro Massimo “Vittorio Emanuele” di Palermo è considerato fra i più belli d’Europa, secondo solo all’Opéra di Parigi.
La costruzione del teatro, su progetto di G.B. Filippo Basile, iniziò nel 1875 e durò ventidue anni: per la costruzione stessa fu necessario demolire le mura del Monastero delle Stimmate, ed altri edifici, tra cui una chiesa, un monastero ed una porta.
Dal 1891 i lavori continuarono sotto la guida di Ernesto Basile, figlio del progettista: oltre alla definizione del teatro, si provvide
a sistemare l’illuminazione della piazza, a rifare il Palazzo Francavilla e a realizzare i due bei chioschi Ribaudo e Vicari.
Il teatro fu finalmente inaugurato il 16 maggio 1897.
TvBoy, #streetartist di origine palermitane, ha reso omaggio a Giovanni Falcone.
Il #Murales si chiama "E' TEMPO DI ANDARE AVANTI!" opera realizzata a Piazza Marina.
TvBoy ritrae il magistrato con una bomboletta in mano mentre affida il suo messaggio su un muro del centro storico di Palermo.
Si tratta di un’iniziativa commemorativa ideata con il supporto della stessa Fondazione Falcone, un omaggio al coraggio di questo giudice che tanto ha fatto per la città di #Palermo e non solo.
A Palermo, in via dello Spasimo, nel quartiere Kalsa, i due #streetartist Rosk e Loste hanno realizzato BAKITHA, un'immagine di forte impatto che testimonia l’identità, l’integrazione e il sincretismo culturale della città.
L’opera raffigura una giovane donna dai tratti somatici non europei, la particolarità sta nell’aureola posta dietro il capo della ragazza che ci porta all’interno di un mondo spirituale appartenente all’arte sacra.
A Palermo per la Madonna di Mezz'agosto (così una volta veniva chiamata l'Assunta), fece la sua comparsa una "varicedda", ossia una piccola "vara" creata dai bambini dei quartieri, recante una piccola statua, possibilmente di cera, che per quindici giorni a partire da primo di agosto portavano di vicolo in vicolo e raccoglievano le offerte che ufficialmente servivano per abbellire la varicedda o per preparare quella dell'anno successivo.
Di fatto, i proventi delle offerte, si davano alle famiglie più bisognose del quartiere per fare la spesa.
Nell'area sud-orientale di Palermo e precisamente nel quartiere dello Sperone, in via XXVII Maggio, su una parete di un palazzo popolare, troviamo SANGU E LATTI (Sangue e latte) di Igor Scalisi Palminteri.
"Partiamo dal latte della mamma per prenderci cura dei bambini che spesso questa città dimentica".
La Cappella Palatina è sicuramente il luogo più celebre e più suggestivo della città di #Palermo.
I lavori di costruzione iniziarono nel 1130 - anno in cui fu Ruggero II fu incoronato re di Sicilia - e terminarono nel 1143.
Essa rappresenta la sintesi culturale e politica operata dai Normanni durante la loro dominazione.
Infatti, essa fonde in modo mirabile le espressioni architettoniche più rilevanti per la Sicilia: l’europea, la siciliana, la bizantina, l’araba.
Nell'Oratorio, gli stucchi realizzati dal Maestro stuccatore palermitano 𝙂𝙞𝙖𝙘𝙤𝙢𝙤 𝙎𝙚𝙧𝙥𝙤𝙩𝙩𝙖, dovevano amalgamarsi ai dipinti esistenti e fondersi con essi visivamente e semanticamente.
I lavori in stucco venivano eseguiti dopo la preparazione di modelli in creta, lo stampo in gesso al cui interno veniva colato un miscuglio di gesso impastato con colla di pesce, polvere di marmo, calce spenta, sabbia, latte cagliato e addirittura sangue. Il risultato era un materiale particolarmente duro, il cui aspetto era molto simile al marmo. L’opera finita, bianchissima, veniva lucidata con uno straccio spalmato di cera oppure dipinto con coloranti dorati.
Nelle nicchie tra i dipinti, l'artista palermitano realizzò inoltre le statue allegoriche delle Virtù, vestite con pizzi e drappeggi secondo la moda dell'epoca, di derivazione francese.
Tra di esse spicca quella raffigurante la Mansuetudine, che tiene in mano una colomba verso la quale tende la mano un putto vestito da fraticello. Inoltre sono rappresentate: nel presbiterio la Divina Provvidenza e la Divina Grazia. Lungo le pareti laterali le virtù: 𝐂𝐚𝐫𝐢𝐭𝐚', 𝐔𝐦𝐢𝐥𝐭𝐚', 𝐏𝐚𝐜𝐞, 𝐏𝐮𝐫𝐞𝐳𝐳𝐚, 𝐌𝐚𝐧𝐬𝐮𝐞𝐭𝐮𝐝𝐢𝐧𝐞, 𝐏𝐚𝐳𝐢𝐞𝐧𝐳𝐚, 𝐅𝐨𝐫𝐭𝐮𝐧𝐚, 𝐎𝐛𝐛𝐞𝐝𝐢𝐞𝐧𝐳𝐚
L'enorme dipinto del pittore fiammingo 𝘼𝙣𝙩𝙤𝙣 𝙑𝙖𝙣 𝘿𝙮𝙘𝙠 raffigurante la Madonna del Rosario con i Santi domenicani e le Sante Patrone di Palermo (Rosalia, Agata, Oliva, Cristina, Ninfa) si mostra imponente sulla parete d'altare.
L'intera struttura è stata riccamente decorata a stucco nel 1740 da Procopio Serpotta, ultimo discendente della nota famiglia palermitana di artigiani, decoratori e modellatori dello stucco.
I palermitani si ritrovano davanti due colonne infinite di soldati americani, di camion e di jeep mai viste prima. Confluiscono a piazza Massimo e poi si diramano in tutta la città.
La gente scende in strada ed è un tripudio, i soldati offrono cioccolato e sigarette, i civili offrono ai soldati del buon vino.
La dimora, il cui nome deriva dall'arabo al-Aziz, che significa glorioso, magnifico, sorgeva fuori le mura di Palermo, immersa nel verde di un grande parco reale di caccia.
Splendido esempio di arte arabo-normanna, il Castello della Zisa si presenta con una forma rettangolare che si sviluppa su tre piani, e all'esterno è diviso a metà da un canale che porta acqua a diverse vasche, riproduzione di quello più antico che recava acqua alla famosa Sala della Fontana.
La facciata è contraddistinta da tre grandi fornici ed una serie di arcate cieche. Sulla volta dell'ingresso sono dipinti alcuni diavoli che si dice custodiscano il tesoro dell'imperatore.
Il piano terra è occupato dal lungo vestibolo in cui si trova la sopracitata Sala della Fontana con ai lati le scale che portano ai piani superiori.
La Sala, sulle cui pareti sono visibili i resti degli affreschi seicenteschi dei Sandoval, ha pianta quadrata sormontata da una volta a crociera ogivale, e presenta agli angoli tre grandi nicchie incorniciate da semicupole decorate da muqarnas (decorazioni ad alveare).
L'ambiente, in cui il re riceveva la corte, risulta fresco grazie alla presenza della Fontana che reca una lastra marmorea decorata a chevrons, sormontata da un pannello a mosaico su fondo oro.
Nell’arco d’ingresso alla Sala della Fontana, su una volta, sono raffigurate delle creature mitologiche che rappresentano delle divinità olimpiche tra cui Giove, Nettuno, Plutone, Giunone, Mercurio, Venere e Marte. Secondo la tradizione palermitana non si tratta di semplici divinità, ma di diavoli che custodiscono delle monete d’oro nascoste all’interno del Palazzo della Zisa.
Il tesoro fu lasciato da Azel Comel e El-Aziz, arrivati a Palermo dopo esser fuggiti per proteggere il loro amore ostacolato dal padre di lei. Sempre secondo la leggenda, i due giovani amanti fecero costruire il Castello della Zisa appena giunti in città, ma dopo aver appreso che la loro fuga era stata causa del suicidio della madre di El-Aziz, morirono a breve distanza l’uno dall’altro, non prima però di aver affidato ai diavoli la protezione del loro tesoro tramite un incantesimo. Il mito narra che chiunque cerchi di contare l’esatto numero dei diavoli non ci riesca per via del loro continuo mescolamento che impedisce di contarli.
Diverse altre leggende sono legate a questa, come quella secondo la quale il giorno dell’Annunziata (25 marzo) chi fissa per troppo tempo i diavoli della Zisa ad un certo punto li vedrà muovere la coda o storcere la bocca.
O altre secondo cui i giorni di vento intenso a Palermo sono causati dall’uscita dei diavoli dal castello che portano con sé l’aria fresca del palazzo stesso.
Van Dyck era arrivato a Palermo nel 1624 su invito del vicerè spagnolo che voleva farsi ritrarre dal giovane già affermato artista di corte.
Di lì a poco la città fu colpita da una pestilenza che provocò 10 mila morti, tra cui lo stesso vicerè, pari al 10 per cento della popolazione.
L'allora 25enne pittore fiammingo guardava con orrore dal suo isolamento la chiusura del porto, gli ospedali incapaci di reggere l'afflusso degli infetti, i lamenti dei malati e dei moribondi nelle strade.
Un barlume di speranza alla città in ginocchio lo diede la scoperta, da parte di un gruppo di Francescani, di resti di ossa tra cui un cranio che l'arcivescovo Giannettino Doria attribuì a Santa Rosalia, nobile della famiglia dei Sinibaldi, vissuta nel dodicesimo secolo.
Le reliquie furono portate in processione l'anno dopo attraverso le strade, mentre i casi di contagio si abbassavano: la "Santuzza" aveva salvato la città.
Spodestando altri santi come Cristina, Oliva, Ninfa e Agata, Rosalia resta a oggi la Patrona di Palermo.
Il Museo Pasqualino di Palermo, con la sua Associazione, è uno dei vincitori dei Premi Europei per il Patrimonio Culturale/Europa Nostra Awards 2022, grazie al suo progetto per la salvaguardia dell’Opera dei Pupi.
Si tratta del più prestigioso premio in Europa per il patrimonio culturale, assegnato quest’anno a 30 progetti “esemplari” provenienti da 18 Paesi.
Costanza d’Aragona, prima moglie di Federico II, dopo appena tredici anni di regno, muore il 23 Giugno del 1222, a Catania, dove le vengono tributate le prime esequie alla presenza del vescovo (cfr. R. Pirri, Sicilia Sacra…, ed. cons. 1773, I, p. 534); successivamente il corpo viene trasportato a Palermo, in Cattedrale, dove viene sepolta in un sarcofago antico.
Fu trovato "un….corpu mortu…… in testa di lo quali corpu chi fu truvata una coppula tutta guarnuta di petri priciusi, perni grossi et minuti, et piagi di oru massizzu …" (cfr. F. Daniele, I Regali Sepolcri…, 1784, p. 84 - 85).
Siamo nel 1491, ha inizio proprio dal sarcofago marmoreo della regina Costanza, l’indagine ufficiale sulle tombe reali della Cattedrale di Palermo.
Sempre secondo la tradizione, grazie al ritrovamento la peste venne sconfitta e il senato palermitano le dedicò il santuario nel quale sono presenti molti ex-voto depositati dai fedeli.
Sotto un baldacchino vi è l’altare con il simulacro della “Santa Rosalia giacente” inserita in una teca in vetro immersa negli ex-voto dei devoti: opera di Gregorio Tedeschi del 1625, successivamente coperta da una lamina d’oro donata dal re Carlo III.